Avevo molte perplessità quando ho acquistato i biglietti di questo spettacolo, ma – mi dicevo – è proprio quando si hanno aspettative basse che si vedono gli spettacoli migliori. E invece sarà il caso che la prossima volta io mi fidi di più del mio istinto, anche perché – in una stagione teatrale che per me ha toccato grandi vette – diventa davvero difficile uscire anche solo lontanamente soddisfatti da uno spettacolo decisamente mediocre.
Come è nello stile del mio blog, quando ciò che vedo o leggo non mi piace particolarmente, non mi dilungo troppo a spiegare perché (talvolta decido perfino di non scrivere il post).
La bastarda di Istanbul è il risultato della riduzione teatrale (a opera di Angelo Savelli) del romanzo di Elif Shafak, che racconta le connessioni tra una famiglia turca e una famiglia armena, cogliendo l’occasione - attraverso le loro vicende - per raccontare la storia dei rapporti complessi e decisamente non lineari tra questi due popoli.
I personaggi in scena sono numerosi, da un lato la famiglia turca tutta al femminile che vive a Istanbul, dall’altro il figlio della matriarca di questa famiglia che vive in America e che è sposato con una donna americana, reduce da un primo matrimonio con un armeno da cui ha avuto una figlia.
L’intreccio è piuttosto complesso ed evidentemente il regista, che ne ha anche curato l’adattamento teatrale, fa piuttosto fatica a trasformare un romanzo siffatto in uno spettacolo teatrale ben costruito: ai dialoghi tra i personaggi si alternano – in maniera piuttosto insistita e a tratti fastidiosa – i racconti dei personaggi che parlano di se stessi in terza persona per raccontare i pezzi mancanti della storia e creare i collegamenti tra un dialogo e l’altro.
Gli attori, tra cui la ben nota Serra Yilmaz (attrice portata alla ribalta da Ferzan Ozpetek), pur essendo tutti di discreto livello, propongono una recitazione che oscilla tra il sopra le righe e il televisivo, facendomi rimpiangere a ogni piè sospinto i grandi attori visti a teatro negli ultimi tempi.
L’interruzione tra i due atti giunge opportuna per consentire al pubblico di prendere una boccata di ossigeno e affrontare con un po’ di rinnovata energia la seconda parte, che però ben presto si trascina anch’essa stancamente e senza guizzi. Il tono oscilla tra quello da commediola a quello fortemente didascalico nelle parti in cui si raccontano i grandi retroscena della storia e si colloca la vicenda familiare in una cornice più ampia.
Alla fine dello spettacolo non riesco a cogliere gli umori del pubblico: probabilmente molti escono anche soddisfatti, anche se l’applauso non mi sembra essere stato particolarmente lungo e caloroso.
Io personalmente esco con l’intenzione di stare molto, ma molto più attenta nella scelta degli spettacoli da andare a vedere per il prossimo futuro.
Voto: 2/5
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