Joan ormai è un' habitué dei palchi romani e io sono ormai una veterana dei suoi concerti, visto che questo è il settimo concerto che seguo dall'ormai lontano 2010.
Quest'anno, in occasione dell'uscita del suo nuovo album, Damned devotion, Joan as Police Woman, nome d'arte di Joan Wasser, torna a Roma in una delle sue location più classiche, l'Auditorium Parco della Musica. Il suo tour italiano era stato anticipato dalla partecipazione alla trasmissione Ossigeno in cui oltre a cantare qualche brano del suo nuovo album aveva rilasciato una bella intervista a Manuel Agnelli.
Questa sera Joan si presenta sul palco con una band formata dallo storico batterista e vocalist Parker Kindred (il che testimonia come questo album - dopo gli ultimi esperimenti - rappresenti un po' un ritorno alle origini), un bassista, e due tastieristi, uno dei quali suona anche la chitarra.
Joan - come sempre - alterna canzoni in cui suona la tastiera a canzoni in cui suona la chitarra.
Tutti i membri della band hanno una giacca tipo quelle da baseball, realizzata in occasione del tour, anche se Joan non rinuncia a indossare pantaloni e stivaloni rossi in pelle.
Il concerto si apre con Wonderful e prosegue con molte delle canzoni dell'ultimo album, che a un certo punto Joan ci dice di voler suonare e cantare per intero. Di tanto in tanto Joan ci ripropone canzoni del passato, in parte parecchio note, in parte quasi dimenticate: tra queste Eternal flame dall'album Real life, Honor wishes dall'album To survive, Human condition dall'album The deep field.
Il concerto inizia un po' in sordina ma a poco a poco la voce di Joan prende quota, i musicisti ci prendono gusto e il pubblico si scalda. A questo processo si accompagna una interazione crescente di Joan con il pubblico e la cantautrice ci regala sorrisi e piccoli momenti divertenti, in cui fa emergere la sua componente buffa, parte del mix irripetibile che è lei come persona e come cantante.
Il concerto si chiude con l'esecuzione di Silence, l'ultima canzone dell'album Damned devotion che non era ancora stata cantata. Joan abbandona il palco e sul beat di Parker Kindred a uno a uno tutti i musicisti lasciano il palcoscenico, fino a quando anche il batterista poggia le bacchette e va via.
Il pubblico però non è ancora pronto ad andare a casa e chiede a gran voce il rientro di Joan sul palco che non si fa attendere. Joan torna da sola e ci esegue con la chitarra una versione molto intima e quasi commovente di Forever and a year, la mia canzone preferita del suo ormai ampio repertorio. E - visto che questa canzone l'avevo ascoltata l'ultima volta dal vivo nel 2012 e l'aspettavo già negli ultimi concerti - lo considero un regalo quasi personale che Joan mi fa.
Segue la classica The magic e infine una bella cover della canzone di Prince Kiss. A questo punto la band può salutare un pubblico soddisfatto e affettuoso.
L'esperienza di un concerto di Joan è sempre bella e soddisfacente. Tra l'altro questo ultimo album dal mio punto di vista meglio si addice alla voce e alla personalità di Joan rispetto ad alcuni degli ultimi esperimenti - mi riferisco in particolare a quello realizzato con Benjamin Lazar Davis - e dunque questo concerto mi fa lo stesso effetto che mi farebbe vedere una vecchia amica, che periodicamente incontro e seguo in tutte le sue evoluzioni.
Resta un po' di perplessità da parte mia per la location. Perché è vero che le sale dell'auditorium sono grandi e belle e certamente, da un punto di vista sonoro, sono il massimo (o quasi), ma non c'è dubbio che un pubblico tutto seduto in poltrona e piuttosto distante dal palco è quanto di più lontano ci possa essere da quell'atmosfera di condivisione musicale e di co-creazione che per me è un concerto dal vivo, e che si realizza decisamente meglio quando i cantanti e le band - soprattutto quelle che molto puntano sui live - possono respirare da vicino le sensazioni del pubblico e viceversa. Pazienza. Però Joan è sempre Joan, e ormai le voglio quasi bene.
Voto: 3,5/5
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