I pesci non hanno gambe. Storia di una famiglia / Jón Kalman Stefánsson; trad. di Silvia Cosimini. Milano: Iperborea, 2015.
Eccomi alla mia seconda volta con Jón Kalman Stefánsson. Dopo Paradiso e inferno avrei potuto continuare con la trilogia del villaggio, e invece ho scelto di passare alla saga familiare raccontata ne I pesci non hanno gambe.
Il desiderio di leggere questo libro è nato dal commento di un’amica che lo aveva così sintetizzato: "il libro di uno scrittore un po’ filosofo che riflette su come si passi metà della vita a cercare l’amore e l’altra metà a sopravvivergli".
In questo romanzo di Stefánsson siamo sempre in una periferia dimenticata dell’Islanda, precisamente a Keflavìk, dove la maggior parte della popolazione vive della pesca e del suo indotto (questo almeno fino all’introduzione delle quote ittiche) e della ricchezza che arriva dalla presenza della base americana (almeno fino a quando non viene smantellata).
Tutto comincia con una lettera che Ari, emigrato (o forse meglio sarebbe dire scappato?) a Copenhagen dopo aver rotto con sua moglie a causa di un tradimento, riceve da suo padre Jakob, ormai al termine della sua vita, lettera cui è allegata l’onorificenza che era stata assegnata al nonno Oddur per i suoi meriti in mare.
Questa è l’occasione per raccontare – andando avanti e indietro nel tempo – la storia di tre generazioni, quella di Oddur e Margret (e del fratello di questa Triggvy), quella di Jakob appunto, e quella di Ari e del suo amico di cui non conosciamo il nome e che è la voce narrante di questo romanzo, testimone dei tempi dell’adolescenza, di quelli del passato prossimo e dell’oggi.
Nella storia bella, dolorosa e malinconica di questa famiglia – come è tipico dello stile di Stefánsson – si aprono squarci per raccontare tante altre storie di persone che in qualche modo hanno incrociato le loro strade con quella di Oddur, di Jakob e di Ari.
Ne viene fuori – come già avevo avuto modo di osservare in Paradiso e inferno – il ritratto di un’umanità dolente i cui tratti sono in parte universali e capaci di trascendere il luogo geografico di appartenenza, in parte assolutamente propri di questa terra aspra e difficile che sfida continuamente gli esseri umani alla sopravvivenza fisica e psicologica.
Una lettura intensa, non sempre e non necessariamente coinvolgente, ma capace di aprire al lettore orizzonti interpretativi nuovi o di scoprirne di già noti ma dimenticati sotto la spessa coltre della quotidianità.
Voto: 3/5
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