Sempre per la serie degli esperimenti. Vado a vedere al Teatro India lo spettacolo tratto dal libro di Marcello Fois, Quasi Grazia, sulla vita di Grazia Deledda, interpretato da una Michela Murgia in un ruolo alquanto inedito.
Lo spettacolo si articola in tre momenti, che si susseguono senza soluzioni di continuità, con cambi di scena facilitati da pareti mobili e dall'ingresso sul palcoscenico di figure mitiche della cultura arcaica sarda, che in un certo senso rappresentano l'inevitabile confronto – in parte inconscio – di Grazia Deledda con le sue radici e il rapporto irrisolto con il mondo dal quale proviene.
E questo è in fondo anche il fil rouge dell'intera rappresentazione.
La prima parte dello spettacolo si svolge nella casa materna e racconta il momento doloroso e inevitabilmente caratterizzato da sensi di colpa dell'addio di Grazia alla Sardegna per seguire il marito Palmiro e le sue aspirazioni di scrittrice sul continente, nell'incomprensione e nel quasi disprezzo della madre che non ne accetta la scelta e nel dolore dei fratelli, in particolare Andrea, che non riescono e forse non vogliono affrancarsi dalle loro origini.
La seconda parte si svolge in una stanza d'albergo. Grazia e Palmiro sono in Svezia perché la Deledda è la prima – e a tutt'oggi unica – donna italiana a vincere il Nobel per la letteratura. Grazia è ormai una scrittrice affermata, ma nonostante questo non è amata né dai suoi conterranei che non le perdonano il modo in cui li rappresenta né dai colleghi letterati spesso molto critici nei confronti della sua scrittura e delle sue opere. E però dentro Grazia – in questo fortemente supportata dal marito – arde il fuoco della letteratura che è più forte di qualunque critica.
Infine, la terza parte è ambientata in un ospedale. Il dottore comunica a Grazia e a suo marito che le metastasi sono troppo diffuse e alla donna rimane poco da vivere. Palmiro è inconsolabile, ma Grazia è pronta ad affrontare il suo destino.
La Murgia è brava nell'interpretare una donna forte e fragile al contempo, una donna che ha dovuto lottare contro i suoi stessi fantasmi per seguire la propria vocazione. L'adattamento del testo di Fois pone l'accento in modo particolare sulle figure antitetiche della madre, avara di parole e di riconoscimenti, fortemente critica verso una figlia che ha scelto la lontananza e una strada lontana dalla tradizione e che dunque ha tradito la sua terra, e del marito, sempre affettuoso e pieno di attenzioni, pronto a sostenere Grazia nei momenti di difficoltà, quasi dipendente dalla sua esistenza e dal suo affetto.
Una figura - quella di Grazia Deledda - che conosco pochissimo, così come le sue opere, ma che certamente dopo questo spettacolo mi è venuta voglia di approfondire. Ci vorrebbero due o tre vite per acquisire la conoscenza di tutte le cose interessanti con cui entriamo in contatto nella vita :-)
Voto: 3,5/5
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