Siamo all'inizio degli Sessanta in un'America in cui vige ancora la segregazione razziale.
Kennedy è diventato da poco presidente degli Stati Uniti. La sfida tra America e Russia per la corsa allo spazio è aperta e il nuovo presidente punta molto su questo settore per dimostrare la potenza americana.
Il diritto di contare (Hidden figures secondo il titolo originale) è la storia vera di tre donne afroamericane, Katherine Johnson (Taraji P. Henson), Dorothy Vaughan (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monáe), che lavorano tutte alla NASA.
La prima è una matematica, la seconda la responsabile di un gruppo di calcolo con un talento per l'informatica, la terza un'aspirante ingegnere aerospaziale. Nonostante la segregazione razziale e il fatto di essere donne, tutt'e tre saranno determinanti per il successo del programma spaziale americano.
Katherine Johnson in particolare, certamente una mente matematica superiore, è stata insignita in tempi recenti della Medal of Freedom da Barack Obama e a lei è stato intitolato un importante centro di ricerca della NASA.
La cosa più incredibile del film di Theodore Melfi - tratto dal libro Hidden figures: The story of the African-American women who helped win the space race di Margot Lee Shetterly - è che si tratta di una storia vera, per quanto adattata alle necessità della narrazione cinematografica, e questo conferisce al film una forza e un impatto sullo spettatore che in caso contrario non avrebbe certamente avuto.
Il diritto di contare è l'ennesima variante di quel genere di film in cui il vero protagonista è il sogno americano, ossia la convinzione tutta americana che chiunque, anche in condizioni di pesante svantaggio sociale e personale, come nel caso delle tre protagoniste del film, purché dotato di determinazione e talento, possa realizzare i propri obiettivi all'interno di una società che alla fine - nonostante tutto - premia sempre il merito.
La storia è molto bella e motivante, come solo Hollywood è in grado di fare, il cast degli attori è molto azzeccato e le tre protagoniste sono davvero trascinanti, e alla fine la lacrimuccia non può che scappare, perché - diciamocelo - abbiamo bisogno di storie edificanti e piene di speranza come questa e gli americani sono dei maestri nel fare questo tipo di film, così interni al loro approccio culturale.
Però è inevitabile che, una volta riemersi dal turbine emotivo che la visione può ingenerare, ci si renda conto del processo di semplificazione da un lato e di mitizzazione della realtà dall'altro che il film mette in atto, mostrandoci un mondo in cui il buonismo (di fidanzati, mariti, figli e capi) è a volte un po' stucchevole, per quanto funzionale al discorso civile del regista. E alla mia sensibilità cinematografica molto ipercriticamente europea questa cosa finisce per sembrare un grosso limite.
Voto: 3/5
Sono d'accordo. Un buon film, un po' didascalico, ma che riesce a contenere la retorica entro il livello di guardia... io però gli ho preferito "Loving", ne parlerò a breve :)
RispondiEliminaNon l'ho ancora visto, ma è nei miei programmi!! :-)
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