Dopo il percorso estivo di parziale recupero della filmografia di Dolan, eccomi puntuale all'appuntamento con il suo ultimo film, È solo la fine del mondo, che ha vinto il Grand Prix a Cannes.
Ora, premesso che la leggerezza non è certamente la migliore caratteristica di questo giovane regista e considerato che negli anni essa sembra ulteriormente ridimensionarsi, quest'ultimo film - fors'anche per il fatto che si ispira a una pièce teatrale - è particolarmente cupo e claustrofobico.
Louis (Gaspard Ulliel) sta per morire e ha deciso di tornare a casa, da dove manca da dodici anni, per comunicarlo alla sua famiglia. Ad aspettarlo ci sono la madre (Nathalie Baye), la sorella più piccola che lui quasi non conosce, Suzanne (Léa Seydoux), il fratello maggiore, Antoine (Vincent Cassel), e la moglie Catherine (Marion Cotillard).
Le poche ore che ruotano intorno al pranzo in famiglia che, nelle intenzioni di Louis, dovevano rappresentare l'occasione per riprendere contatto con una famiglia da cui lui aveva sentito la necessità per molto tempo di stare lontano, diventa una vera e propria resa dei conti tra chi è rimasto e chi è andato.
A uno a uno, Louis dovrà confrontarsi con ciascuno di loro. Prima con Suzanne, che prova sentimenti di ammirazione per Louis ma anche di delusione a causa dell'abbandono da parte del fratello, e sembra in qualche modo incapace di spiccare il volo dal nido materno. Poi con la madre che ammette la propria incapacità di comprendere questo figlio ma gli attribuisce un ruolo carismatico e di conseguenza una grande responsabilità rispetto a Suzanne e Antoine. Infine con Antoine che ha un profondissimo rancore verso il fratello, che percepisce come un privilegiato e un irresponsabile, e che nonostante tutto ha ricevuto maggiore apprezzamento dalla sua famiglia.
Su tutti la figura spaurita di Catherine, la moglie di Antoine, travolta dalle dinamiche perverse della famiglia del marito e dal crescendo di conflittualità, ma capace - più di chiunque altro grazie al suo sguardo esterno - di comprendere quello che sta succedendo e il vero motivo per cui Louis è tornato.
Il film di Dolan ci stordisce di parole fittissime, di musiche altissime, di primi piani vicinissimi, rendendoci partecipi di una tensione rispetto alla quale restiamo sempre spettatori, ma che in qualche modo mina nel profondo qualunque nostra serenità.
Louis è invece prevalentemente fatto di silenzi, di sguardi, di ricordi, di pensieri, travolto anche lui da un fiume in piena che pensava di aver arginato con le sue scelte di vita. In realtà, come l'uccellino del cucù che abita la casa di famiglia, la sua scelta di distanza è probabilmente stata una scelta di sopravvivenza, un rifugiarsi all'interno di una security zone, abbandonata la quale non può che volare impazzito cozzando contro tutto quello che incontra.
Perché - come diceva non so chi, visto che ormai più che una citazione è diventata un bagaglio mio personale - si può divorziare da un marito, ma dalla propria famiglia di origine non si divorzia mai, nemmeno quando si mettono anni e chilometri in mezzo. Non c'è altra strategia che trovare un modo di conviverci, venirci a patti, accettarne la disfunzionalità senza esserne totalmente schiacciati, per poi recuperarne anche gli aspetti migliori.
Non sappiamo con quali motivazioni Louis torna dalla sua famiglia: forse per una lontana speranza di ricomporre in punto di morte tutti i pezzi andati in frantumi, oppure per una sottile e definitiva vendetta nel comunicargli che non tornerà mai più? Niente però è governabile davvero nel turbinio delle folli dinamiche familiari e non si può che uscirne ancora una volta sconfitti.
È solo la fine del mondo è costruito con il passo antico dei thriller psicologici degli anni Sessanta (a me ha fatto pensare a tratti a Marnie di Alfred Hitchcock) e al contempo con il piglio della contemporaneità; su tutto aleggia lo stile di Dolan, che è in qualche modo sempre uguale e nello stesso tempo sempre diverso.
Personalmente un film che ho trovato fortissimamente cerebrale e intellettualistico e ho molto apprezzato su questo piano (come altre pellicole del regista), ma che rimane secondo me emotivamente un po' debole e narrativamente a tratti didascalico. Ma magari sono io che non ho capito niente ;-)
Voto: 3,5/5
Non concordo sul narrativamente debole. Non so perché, ma fin dai primi minuti mi ha preso come non succedeva da un po'. Davvero bello!
RispondiEliminaA me non ha conquistato come altri film di Dolan, ma credo che la cosa sia parecchio soggettivi e anche legata magari allo stato d'animo del momento. Grazie del tuo commento!
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