La storia - come spesso accade nei film giapponesi - è decisamente minimale. Tre sorelle, Sachi (Haruka Ayase), Yoshino (Masami Nagasawa) e Chika (Kaho), vivono in una vecchia casa con giardino nella città di Kamakura. Sachi, la più grande, fa un po' da mamma alle altre da quando il padre è andato via di casa con un'altra donna e la madre si è trasferita in un’altra città lasciandole da sole. Quando muore il padre, le tre sorelle vanno al suo funerale, dove incontrano Suzu (Suzu Hirose), la sorellastra nata dal secondo matrimonio del padre, e decidono di chiederle di andare a vivere con loro. Da qui in poi il film è un racconto - delicato e senza grandi scossoni - della vita di queste quattro ragazze, dei rapporti tra di loro e con i genitori, del loro modo di stare nel mondo, un racconto attraverso il quale vengono fuori i loro caratteri e modi di essere, ma anche una rappresentazione molto affascinante dello stile di vita giapponese, delle loro tradizioni culturali, delle dinamiche sociali e personali.
Per qualcuno queste due ore di film in cui - per i nostri parametri occidentali - non succede niente di eclatante se non la vita che scorre e i rapporti che si approfondiscono e talvolta cambiano potrebbero essere troppe. Personalmente invece ho apprezzato sia questo racconto di vita senza colpi di scena (che poi la vita non è per la maggior parte fatta così?) sia la possibilità di cogliere le differenze con una realtà che - per quanto per molti versi fortemente occidentalizzata - resta invece profondamente diversa dalla nostra.
Gli interni e gli esterni della bellissima casa giapponese dove vivono le quattro ragazze, la preparazione dei cibi e del liquore di prugne, gli scorci su questi panorami in cui la natura riesce ancora a prevalere sugli abitati urbani, le stradine di queste città in cui il treno passa vicinissimo alle case, i trenini con una sola carrozza che attraversano i boschi e le montagne, tutto ci restituisce quell'idea della provincia giapponese che ci è lontana, ma non estranea grazie ai manga e ai cartoni giapponesi.
E infatti scopro che questo film di Hirokazu Kore-Eda è liberamente ispirato appunto a un manga, Umimachi Diary (di cui vedete qui qualche tavola), che dal mio punto di vista spiega anche perché alcuni personaggi (ad esempio Chika e il suo fidanzato) e alcune situazioni sembrano la traduzione vivente di personaggi e scene disegnate.
Che poi mi chiedo sempre: ma sono i manga che imitano l'essenza più profonda del Giappone oppure sono i giapponesi che imitano i manga? Talvolta ho la sensazione che il Giappone abbia talmente introiettato il linguaggio dei manga che è diventato ormai difficile capire cosa è nato prima, come con l'uovo e la gallina.
Little sister è dunque un gradevole viaggio attraverso il Giappone, con i pochi sussulti che un treno con una sola carrozza può produrre, alla scoperta di quattro donne diversissime, che sarà difficile non amare e non voler abbracciare alla fine del film. Ma attenzione! Perché in tutto il film i contatti fisici tra le persone sono praticamente inesistenti, pur essendo forti le dinamiche emotive che si innescano tra i personaggi.
Anche questo è il Giappone.
Voto: 3/5
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