Che tu sia per me il coltello / David Grossman; trad. di Alessandra Shomroni. Milano: Mondadori, 2007.
La curiosità per questo libro mi è venuta dopo aver letto una citazione da qualche parte che ora non ricordo. Dopo aver saputo di cosa parla Grossman in Che tu sia per me il coltello mi sono definitivamente convinta che poteva avere senso per me affrontarne la lettura.
Fin da quando ho iniziato a leggere le prime pagine ho avuto quella sensazione che mi avrebbe accompagnata per tutta la durata della lettura. Ossia da un lato una sensazione di estraneità culturale ed emotiva rispetto al racconto del rapporto di Yair e Myriam, dall'altro a tratti e imprevedibilmente una connessione forte, quasi interna, con i sentimenti dei protagonisti.
Effetto forse di quella dimensione "metafisica" che è la cifra dominante di questa storia. Yair è un uomo sposato di circa 35 anni che un giorno vede una donna impegnata in una conversazione con altre persone. Qualcosa nell'atteggiamento di quella donna lo colpisce e lo spinge a mandarle delle lettere e a proporle una relazione solo epistolare la cui fine sia decisa da loro stessi e non sia troppo in là nel tempo, per non sporcare la purezza di questo rapporto.
In questo spazio compresso dal punto di vista temporale, in questa dimensione "astratta" ma profondamente liberante che è il rapporto esclusivamente epistolare, Yair e Myriam rivelano di se stessi e delle proprie vite reciprocamente più di quanto probabilmente abbiano mai fatto con nessun altro.
Per circa due terzi del libro conosciamo solo la voce di Yair attraverso le sue lettere e intuiamo, ma non sempre comprendiamo perfettamente, le risposte di Myriam. Nell'ultima parte leggiamo le lettere/quasi monologo/quasi diario che Myriam scrive a Yair quando quest'ultimo ha smesso di scriverle secondo i patti. Infine nelle ultimissime pagine assistiamo prima al contatto telefonico e - in un crescendo di drammaticità - anche all'incontro tra i due protagonisti.
Personalmente, mentre nelle lettere di Yair mi sono spesso persa, talvolta ho provato una sensazione di estraneità e quasi repulsione, nel monologo/diario di Myriam ho sentito tutto il pathos della donna in un intreccio inestricabile e irrisolvibile tra la propria vita quotidiana e la dimensione altra, ma emotivamente molto concreta e profonda, del rapporto con Yair.
Eppure resta in me la sensazione di una sostanziale irriducibilità tra la poesia di alcuni momenti e la prosaicità (talvolta poco comprensibile) di altri. Ma forse questa è la vita, oppure è l'inevitabile destino di un rapporto che sta dentro la vita e contemporaneamente anche fuori.
Alla fine della lettura non sono sorpresa di essermi avvicinata a questo
libro attraverso una citazione, perché la lettura è spesso catturata e
interrotta da passaggi folgoranti per la loro bellezza e universalità:
All'improvviso ho la sensazione che ogni parola sia un grumo di lettere inutili, non trovi anche tu? (p. 8)
[...] con te non mi comporto in modo logico: solo in modo follemente logico. E non voglio nemmeno aspettare, perché il tempo con te è diverso. È circolare, e in ogni momento si trova esattamente alla stessa distanza dal centro. (p. 19)
[...] se ti senti tra parentesi, permettimi allora di infilarmici dentro, e che tutto il mondo ne rimanga fuori, che sia solo l'esponente al di fuori della parentesi e ci moltiplichi al suo interno. (p. 20)
E io so, non c'era bisogno di spiegarlo, che questo tuo "vero io" non ha nulla a che vedere con me, è qualcosa di completamente tuo, e forse addirittura, come hai detto, la "Cosa" più importante per te. Ma io leggo anche quello che hai aggiunto sotto, con una strana grafia: a volte provi un brivido scoprendo come un estraneo riesca a notare, con un solo sguardo, questa "Cosa" e, senza conoscerti, a chiamarla con il suo vero nome. (p. 24)
Mi verrebbe da chiederti che bisogno hai di me quando hai qualcuno con cui puoi sempre parlare, di qualunque umore tu sia, uno che ti sta vicino quando cadi nel tuo pozzo di Giuseppe, abbandonata da tutti. (p. 30)
Aiutami a calmarmi. Tendimi la mano, anche un dito mi basterebbe adesso. Ho bisogno che ora, proprio ora, tu mi faccia da parafulmine. (p. 44)
Un'anima estranea che svolazza libera dentro la mia e io non mi rinchiudo in me stesso, non la sputo fuori come un nocciolo conficcato in gola. Al contrario, la inspiro ancor di più e lei s'aggrappa al mio corpo, dall'interno... (p. 46-47)
Quell'asciugamano ormai logoro che conserva la sporcizia-decisamente-buona della mia vita, una vita che io amo molto ma nella quale, spero ti sia ora comprensibile, la mia anima aspira a qualcosa, sempre. (p. 47)
In momenti come quelli sento qualcosa montarmi dentro, l'hai visto, e al diavolo le leggi della natura e della società, che impongono a un'anima di accontentarsi della propria esistenza racchiusa nella propria pelle. (p. 52)
Dopo aver fatto l'amore, dormiremo abbracciati. La tua schiena contro il mio ventre. E io stringerò le dita dei piedi intorno alle tue caviglie, come delle mollette, perché tu non possa volar via la notte. Saremo come un'immagine su un libro di scienze: un frutto tagliato a metà, tu la buccia e io il torsolo. (p. 67)
So solo che ora ti desidero disperatamente. (p. 80)
Dimmi, per una volta, cosa posso darti io? E cosa ti do? E cosa ti attira verso di me? (p. 91)
Come hai scritto? "Per aiutarci l'un l'altro a essere tutto quello e tutti coloro che siamo." (p. 122)
"Non ce la faccio più così - la lontananza da te, questa astrazione - perché non riesco a contenere tutto quello che sta succedendo: ho veramente bisogno di un contatto diretto. Di un contatto diretto con te. Basta, vieni con il tuo corpo, nella tua interezza, nella tua concretezza, completa o parziale, divisa o moltiplicata. Ma vieni a braccia aperte. [...]" (p. 134)
Non allontanarti. Ho bisogno di te. Abbiamo ancora molto di cui parlare, siamo solo agli inizi. (p. 146)
Guardo all'interno e provo già nostalgia per ciò che un giorno verrà distrutto, non esisterà più per noi e si disgregherà, come succede sempre, soprattutto a me. (p. 154)
Inconsapevolmente, si tiene una contabilità meschina con la persona che si ama di più. (p. 156)
Senti, forse ti cerco già da anni, ti cerco disordinatamente, a casaccio, e continuo a brancolare. (p. 211)
La mia anima voleva tornarsene a casa, e si è raggomitolata dentro di me in silenzio. (p. 220)
Forse potreste essere tanto magnanimi da ordinare alla realtà di aprire un poco le sue tenaglie e di lasciarci liberi, almeno per un momento. Due esseri umani che desiderano essere soli. Che c'è di male? (p. 228)
[...] secondo me, svelare a una persona qualcosa che non sa di se stessa è un grande dono d'amore. Il più grande. (p. 236)
Ma io credo, con tutto il cuore, che ci sia un luogo, forse non il giardino dell'Eden, in cui potremo stare insieme. (p. 244)
"Amore è il fatto che tu sei per me il coltello con cui frugo dentro me stesso". (p. 253)
Non mi accontento più di un viaggio immaginario. Non si può guarire solo con le parole. Ammalarsi sì. Probabilmente non è molto difficile. Ma consolare? Far rivivere? Per questo occorre vedere degli occhi di fronte a sé, toccare delle labbra, delle mani, un corpo che si ribella e strepita contro le tue idee infantili di astrattezza "pura". (p. 253)
Come sei entrato nella mia vita? Com'è possibile che fossi così indifesa? E non sei nemmeno entrato da una finestra, o da un lucernaio. Sei riuscito a trovare una fessura attraverso la quale mi hai trafitto il cuore. (p. 257)
Il mio "ho" è pieno, pieno. Tu stesso hai detto che è persino traboccante...
Ed è proprio il "non ho" a risvegliarsi ora, a diventare così esigente che mi è difficile contenerlo. All'improvviso il mio "non ho" è pieno di vitalità. Cosa ne sarà di lui a questo punto? Cosa ne farò? (p. 258)
[...] bisognerebbe chiarire una volta per tutte perché "un brutto momento" può andare avanti per mesi, mentre un momento di grazia dura sempre e solo un momento. (p. 283)
Ma cosa ti ho dato, poi? Solo parole, e cosa possono le parole? Probabilmente talvolta possono. E forse ci sono dei momenti di grazia in cui il cielo si apre anche sulla terra (p. 323)
Voto: 3,5/5
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