In un teatro per metà pieno di belle facce giovani di ragazzi di scuola superiore, andiamo a vedere la messa in scena di Enrico IV di Luigi Pirandello ad opera di Franco Branciaroli, che ne è il regista e il protagonista.
Rispetto al testo teatrale originale (suddiviso in tre atti), Branciaroli decide di organizzare la rappresentazione in due atti, affidando alcuni cambi di scena alla semplice chiusura del sipario, senza una vera interruzione.
La prima parte vede sul palcoscenico i comprimari. La marchesa Matilde con il barone Tito Belcredi e la figlia Frida arrivano insieme a un dottore nella residenza di Enrico IV, chiamati dal nipote di lui che – per adempiere la volontà della madre – vorrebbe far guarire lo zio dalla pazzia che ormai da vent’anni gli fa credere di essere l’imperatore Enrico IV e costringe l’intero mondo intorno a lui a sostenere questa messinscena.
L’impatto con lo spettacolo mi lascia un po’ interdetta. La recitazione degli attori sul palcoscenico è fortemente sopra le righe e la sensazione della finzione è molto forte. I personaggi dei consiglieri segreti di Enrico, quattro giovani travestiti con abiti medievali, ma in qualche modo spaventati e totalmente spaesati rispetto a quanto gli accade intorno, creano un ulteriore effetto di straniamento. La scenografia è anch’essa piuttosto inquietante, occupata com’è da cavalli a dondolo e due grandi quadri sghembi con le gigantografie dei giovani Enrico IV e Matilde di Canossa così come apparivano in quella dannata sera di vent’anni prima, quando durante la festa in maschera Enrico cadde da cavallo e precipitò nella pazzia.
In quest’atmosfera e dopo un breve cambio di scena compare sul palco Enrico IV, abbigliato da imperatore, con la faccia che porta i segni di un trucco un po’ slavato, che lo fa apparire un vero e proprio clown decaduto. Enrico incontra i suoi ospiti travestiti da personaggi dell’epoca e l’incontro, che serve al dottore per verificare le condizioni del malato e decidere la sua strategia, ha dei tratti surreali, nello smarrimento degli ospiti e nelle imprevedibili parole e azioni di Enrico.
La comparsa in scena di Enrico (nella superba interpretazione di Franco Branciaroli) scompiglia le carte e dà alla messinscena un respiro e una forza che fino a quel momento sembravano fargli difetto, oltre a gettare una nuova luce sulla prima parte. Il momento di rottura arriva però in tutta la sua portata durate il lungo monologo di Enrico IV alla presenza dei suoi consiglieri, quello nel quale egli rivela di non essere pazzo, bensì di aver finto la propria pazzia per tutti questi anni, preferendo la finzione della messinscena all’insopportabile finzione della vita.
La pulizia e la forza delle parole di Enrico ribaltano completamente la prospettiva. Improvvisamente, il pazzo che vive nei panni di un altro personaggio mostra tutta la sua verità nella consapevolezza con cui ha scelto questa perenne recita; e tutti gli altri che abbiamo visto e ascoltato fin qui si rivelano per quello che sono, “maschere”, “personaggi” che perennemente recitano sul palcoscenico della vita e che ci appaiono tanto più finti del finto Enrico IV.
L’ultima parte dello spettacolo, quella nella quale questi due mondi vengono messi a confronto e si incontrano e scontrano nel tentativo dei presunti sani di far rinsavire il pazzo, i piani si confondono ulteriormente, la recita consapevole e quella involontaria si mescolano e si aggrovigliano fino al tragico esito che vede contrapposti i due rivali in amore, Enrico e Belcredi. Il confine tra follia e sanità, tra finzione e vita, è valicato una volta per tutte condannando definitivamente Enrico al suo personaggio.
Che meraviglia questo tuffo nella poetica pirandelliana, nelle parole senza tempo dello scrittore siciliano, uno per me dei più cari durante gli anni del liceo! Un fine conoscitore della natura umana e un grande osservatore delle dinamiche sociali. Non teme paragoni. E Franco Branciaroli ce lo ricorda egregiamente.
Voto: 3,5/5
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