La profonda crisi economica, ma anche morale e sociale, che stiamo attraversando ha improvvisamente riportato in auge e reso attuale uno dei classici della nostra letteratura, il Decamerone di Boccaccio. E così non solo i fratelli Taviani lo portano al cinema, ma quasi contemporaneamente Marco Baliani ne realizza un adattamento per il teatro di cui è protagonista Stefano Accorsi (a sua volta impegnato nella risposta di grandi autori classici italiani, prima Ariosto, ora Boccaccio e prossimamente Machiavelli).
Il legame con l’attualità è subito esplicito ed è quella pestilenza che, mentre al tempo di Boccaccio portava la morte su Firenze al punto da spingere un gruppo di teatranti sulle colline per sfuggirle, oggi rende l’aria pesante e irrespirabile, suscitando il desiderio di evasione attraverso il racconto e, mediante questo, la possibilità di una rinnovata dimensione sociale.
L’allestimento scenografico è molto bello. Sulla scena un carrozzone, quello che porta in giro la compagnia di teatranti protagonisti del Decamerone, ma che all’occorrenza si apre per mostrare, si chiude per nascondere, diventa proscenio o barriera, insomma cuore di tutto ciò che accade sul palcoscenico.
Stefano Accorsi è Panfilo, il capocomico della compagnia di teatranti, e colui che dà il via alla sequenza delle sette novelle scelte da Baliani e rappresentate in scena.
Nella prima novella è proprio lui il narratore della novella di frate Alberto che si traveste da angelo Gabriele per poter godere delle grazie della sciocca e vanesia donna Lisetta, ma finirà ridicolizzato nella pubblica piazza.
Nella seconda novella Accorsi diventa un marito gelosissimo che a torto dubita della moglie e la tiene segregata in casa, finendo in conclusione tradito per causa della sua stessa gelosia.
La terza novella è quella di Lisabetta e dei suoi fratelli che – scoperto l’amore corrisposto di lei per il garzone – gli tendono un agguato e lo uccidono. Ma a Lisabetta l’innamorato verrà in sogno indicandole il luogo dove è sepolto, dove lei recupererà la testa che metterà in un vaso in cui pianterà il basilico.
Protagonista della quarta, famosissima, novella è Masetto da Lamporecchio, il giardiniere mutolo che lavorando in un convento susciterà i desideri delle suore.
Quinta arriva la novella di Tancredi e Ghismunda, la meno agita di quelle rappresentate, fatta soprattutto di racconti e figure fisse.
Si torna a ridere nella sesta novella dedicata allo scherzo che Buffalmacco e il compare Bruno tendono all’ingenuo Calandrino. E infine i racconti si chiudono con la storia di Ricciardo che è disposto a donare il suo cavallo, unico bene che gli è rimasto, per amore.
Al termine dello spettacolo è d’obbligo dire che Stefano Accorsi è pirotecnico nel modo di recitare e di tenere il palcoscenico, ed è certamente supportato da una compagnia di ottima qualità. Il risultato è brillante e gradevole, e lo spettacolo si fa certamente vedere con piacere.
Spiace un po’ il tentativo, a volte un po’ banale e semplicistico, di commentare le novelle nel passaggio dall’una all’altra, esplicitando così una morale o un collegamento con i vizi contemporanei che forse sarebbe stato più opportuno lasciare allo spettatore.
L’esperimento però va premiato nel suo complesso, nella misura in cui riesce in una divulgazione non scontata, bensì attenta e rispettosa (anche in una scelta linguistica non filologica, ma in qualche modo in linea con lo spirito del testo), della grande opera del Boccaccio.
Voto: 3/5
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