Iniziamo da una critica che a qualcuno potrà anche sembrare pedante, ma che io considero determinante per la lettura del film. Un film quasi integralmente ambientato in Germania e incentrato su lettura e scrittura non può permettersi di mostrare solo libri in inglese e di far scrivere la protagonista in inglese!!!
Io la trovo una mancanza di attenzione al contesto e di rispetto per il dato contenutistico che solo un approccio anglocentrico può concepire.
Altra piccola annotazione, ma questa dovuta al mio essere profondamente bibliotecaria dentro: mi fa sempre un certo effetto vedere nei film lettori che sottolineano i libri che prendono in prestito nelle biblioteche… ;-))
Detto questo, il film è difficile da definire; non saprei se suscita più rabbia, fastidio o compassione. La sua struttura narrativa si articola chiaramente in due parti: la prima che racconta l’amore tra l’adolescente Michael (David Kross) e la matura Hannah (una straordinaria Kate Winslet, triste e priva di qualunque raffinatezza, “popolana” in tutte le sue espressioni) e la seconda che racconta il processo ad Hannah e la sua incarcerazione.
Un filo rosso lo attraversa tutto: una vena di tristezza e un’atmosfera di tragedia che nemmeno nei momenti felici dell’amore riesce a stemperarsi.
Se dovessi leggere il film su un piano puramente narrativo, direi che la storia complessivamente è un po’ debole e che difficilmente risulta del tutto verosimile.
Mi piace invece interpretarla come una lettura di un pezzo della storia tedesca e del confronto tra due generazioni: quella rappresentata da Michael, che durante gli anni del nazismo era bambina o adolescente, e quella rappresentata da Hannah, che ha vissuto interamente la brutalità del nazismo quasi senza accorgersene per ignoranza, per ingenuità, per superficialità, per paura o – nei casi peggiori – per connivenza.
L’analfabetismo di Hannah forse rappresenta l’ignoranza della coscienza morale di quella generazione, che proprio per questo appare così terribile e controversa agli occhi delle generazioni successive. Bellissimo lo scatto d’ira del compagno di università di Michael, che si chiede come un’intera nazione abbia potuto rimanere immobile di fronte a quello che stava accadendo.
Michael rappresenta un’intera generazione ferita perché ha sfiorato una tragedia senza toccarla con mano, perché è la prima generazione pienamente consapevole dell’orrore e perché - proprio per questo - non si libererà mai da un atavico senso di colpa. Non si guarisce dal senso di colpa individuando qualche capro espiatorio che ci permetta di toglierci un peso dalla coscienza.
Ed è forse per tutti questi motivi che non è chiaro il sentimento che proviamo nel film, forse condividiamo lo stesso senso di gelo che attanaglia il personaggio adulto di Michael (Ralph Fiennes), incapace o forse non più capace di amare, compatire, perdonare o condannare davvero.
Stephen Daldry (dopo il leggiadro Billy Elliott e il letterario The hours) fa solo in parte centro con il greve The reader e forse la parte meglio riuscita è quella che più direttamente gli arriva dal libro A voce alta di Bernhard Schlink.
Voto: 3,5/5
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