Quando improvvisamente ho realizzato che la regista (insieme a Guy Nattiv) nonché co-protagonista (insieme ad Arienne Mandi) di Tatami è Zahra Amir Ebrahimi (detta Zar Amir) che avevo molto amato in Holy spider, la mia intenzione di andare a vedere il film è diventata certezza. E ovviamente ho scelto la lingua originale che, soprattutto in film come questi, rappresenta per me ormai un valore aggiunto insostituibile.
Tatami è ispirato a una storia vera e racconta di una judoka iraniana, Leila (Arienne Mandi), che - insieme alle sue compagne di squadra e guidata dalla sua allenatrice Maryam (Zar Amir) - partecipa al campionato del mondo in Georgia. Al medesimo campionato partecipa anche un'atleta israeliana, che Leila conosce da tempo e con cui c'è cordialità e rispetto. Quando però sia quest'ultima che Leila cominciano a superare le loro avversarie e a scalare il cartellone, cosicché la probabilità di un incontro tra le due atlete diventa sempre più probabile, prima la Federazione di judo iraniana, poi figure sempre più vicine al governo iraniano fanno pressioni su Maryam perché convinca Leila a ritirarsi dalla competizione fingendo un infortunio. Di fronte alle resistenze prima di Maryam, poi della sola Leila, le pressioni diventano minacce e poi azioni concrete nei confronti delle famiglie delle due donne, in una spirale di tensione in cui procedono parallelamente gli incontri di Leila e la sua condizione di isolamento e terrore.
Il film di Amir e Nattiv è girato in uno splendido bianco e nero che richiama i colori primari della tenuta judoka e che in qualche modo uniforma visivamente le differenze tra le atlete, all'interno di un formato 4:3 che contribuisce a creare quel senso di costrizione e di soffocamento crescente che caratterizzerà sempre di più sia gli incontri sul tatami sia la vicenda narrativa che si svolge al di fuori di esso. Le due attrici principali sono entrambe molto brave e credibili nei loro ruoli, nonché capaci di attivare un forte senso di empatia in chi guarda.
La conclusione della vicenda e il racconto di quello che accade dopo l'ultimo incontro di Leila rendono forse fin troppo palese l'intento del film, che è quello di mostrare al mondo la totale assenza di libertà dei cittadini e soprattutto delle cittadine iraniane e la condizione di sudditanza e di violenza psicologica e materiale a cui sono sottoposti in ogni aspetto della loro vita. Forse non ce ne sarebbe stato bisogno, ma comprendo perfettamente l'urgenza di una persona che ha vissuto in prima persona la persecuzione ed è dovuta scappare via dall'Iran come Zar Amir di non lasciare zone d'ombra nel "messaggio" di questo film e utilizzare il cinema per non far mai spegnere i riflettori sull'insostenibilità della situazione iraniana.
Quindi, sono ampiamente disposta a scusare qualche difetto cinematografico se ci sono - come in questo caso - coraggio e passione politica. Continuerò senza dubbio a seguire con attenzione Zar Amir nel prosieguo della sua carriera come attrice e regista.
Voto: 3,5/5
Mi sembra una valutazione un po' stretta: a me è parso un gran bel film. Non solo per l'aspetto politico ma proprio dal punto di vista strettamente cinematografico: le sequenze dei combattimenti sono credibili e molto, molto realistiche. Regia con i controfiocchi, insomma. La sceneggiatura non è affatto stereotipata, anzi... la storia (di finzione) narrata nel film è perfino "addolcita" rispetto a quello che accadeva (e accade) veramente agli atleti iraniani impegnati in competizioni mondiali
RispondiEliminaGrazie del tuo parere e delle informazioni aggiuntive! Come al solito, nei giudizi c'è sempre e comunque una parte di soggettività!
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