I venticinque lettori (cit.) che seguono il mio blog sanno che ormai da un po' di anni ho sviluppato una passione per il teatro di Annibale Ruccello, drammaturgo napoletano purtroppo scomparso prematuramente per un incidente stradale nel 1986. Io e la mia amica F. inseguiamo dunque a Roma tutte le rappresentazioni delle sue opere, e così abbiamo già visto due messe in scena di Ferdinando, nonché Notturno di donna con ospiti e Le cinque rose di Jennifer.
Anna Cappelli mancava all'appello, nonostante - scopro solo a ridosso dello spettacolo - il testo sia stato messo in scena molte volte e interpretato da grandi attrici, tra cui Anna Marchesini (la sua interpretazione, molto virata sul registro ironico, si trova su YouTube) e la grande Maria Paiato (che spero tanto che lo riporti in scena a Roma).
Il merito di farci vedere a teatro Anna Cappelli è del Cometa Off (teatro che mancava ai nostri giri teatrali). Lo spettacolo è diretto da Renato Chiocca e interpretato da Giada Prandi.
La storia - ambientata negli anni Sessanta - è quella appunto di Anna Cappelli, una giovane donna trasferitasi da Orvieto a Latina per lavorare in un ufficio come impiegata. Si tratta di un monologo, ma in realtà non lo è strettamente, dal momento che le parti in cui si articola la storia sono sempre dei dialoghi in cui Anna si rivolge a un interlocutore: in un paio di casi la padrona di casa dove Anna alloggia, la signora Minervini, e nei restanti casi Tonino Guerra, il ragioniere del suo ufficio con cui Anna inizia una storia e con cui va a convivere. Di questi dialoghi però noi ascoltiamo solo la voce di Anna e intuiamo risposte e parole dell'interlocutore dalle parole e dalle espressioni di Anna.
Il testo - a differenza degli altri di Ruccello - è in italiano, sebbene sia punteggiato di espressioni colloquiali o che derivano dal dialetto.
La storia è una specie di parabola, di discesa agli inferi della follia. Anna vive in una stanza della casa della signora Minervini con cui condivide la cucina, ma ovviamente sogna una casa tutta per sé. Lavora in ufficio dove gestisce delle pratiche e dove conosce il ragioner Tonino Guerra. Dopo uno scambio in cui Tonino fa molti complimenti ad Anna, i due cominciano a frequentarsi e decidono di andare a vivere insieme nella grande casa dove Tonino vive da solo con la vecchia governante. Ma Tonino non ne vuole sapere di sposarsi e Anna, fingendo una leggerezza sul tema che non ha, accetta la convivenza sperando che si tratti di una soluzione temporanea. Quando Tonino decide di lasciarla per trasferirsi a lavorare in Sicilia, vendendo anche la casa, Anna vede crollare tutta la sua vita, rispetto alla quale ha già dovuto accettare molti compromessi, e sprofonda in una lucida follia dagli esiti imprevedibili.
La messa in scena a cui assisto è molto essenziale: Anna si muove dentro e fuori una struttura a forma di cubo senza pareti, e le varie fasi della sua vicenda (nonché parti dello spettacolo) sono identificati da uno specifico outfit: all'inizio ha un grembiule su un vestito, poi ha solo il vestito con un foulard, poi ancora ha un cappotto, quindi resta in sottoveste, e a un certo punto sfila le mutandine. Questo progressivo spogliarsi è ovviamente metafora del suo consegnarsi a un uomo e a una prospettiva di vita, che la rendono progressivamente senza difese e sempre più fragile. La follia è la naturale conseguenza dello sgretolarsi di questa prospettiva che lascia Anna senza praticamente più nulla a cui aggrapparsi.
Dentro il personaggio di Anna c'è sicuramente il rapporto uomo-donna, ma anche molti altri temi, quello della provincia, dei rapporti con la famiglia e con le origini, delle convenzioni sociali, dei desideri, e soprattutto della solitudine, che è poi tema trasversale alle opere di Ruccello. E tutti questi temi sono declinati alla maniera tipica del drammaturgo napoletano, ossia dentro un registro che è un mix inscindibile di dramma e commedia, che ogni regista e ogni attrice possono scegliere di declinare in modo leggermente diverso, più ironico (come nel caso della Marchesini), ovvero più cupo e drammatico (vedi il caso della Paiato), o - ancora - più naif come nel caso della Prandi.
Lo spettacolo è molto ben allestito e costruito (per scenografia, luci, musiche ecc.) e devo dire che Giada Prandi risulta molto convincente, nella sua scelta naturalistica di fondo che non disdegna però dei momenti di "forzatura" espressiva.
Ruccello conferma con Anna Cappelli (ultima opera consegnata in SIAE prima della morte) la sua grandezza, che si manifesta nella estrema varietà dei contenuti delle sue opere e nella straordinaria modernità che le caratterizzano, forse grazie alla sua capacità di indagare con finezza e acume nelle pieghe più nascoste dei sentimenti umani. Ed è proprio grazie a questa ricchezza e modernità che le sue opere possono essere portate in scena ancora oggi (e sicuramente anche in futuro) senza risultare mai sorpassate e dando la possibilità agli attori e alle attrici di trovare sempre nuove chiavi interpretative.
Voto: 3,5/5
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