Torno al volo da Milano il sabato dopo una trasferta lavorativa per andare a vedere questo spettacolo - prenotato da tempo - al teatro Argentina. In realtà il biglietto lo avevo preso a suo tempo perché mi aveva incuriosito sia il titolo che la locandina dello spettacolo e perché un'amica mi aveva parlato di uno spettacolo precedente de lacasadargilla che aveva molto apprezzato. E, come sapete, io sono sempre alla ricerca di cose nuove e interessanti.
Come si legge nella brochure e su internet sul sito de lacasadargilla, nonché altrove, l'idea dello spettacolo nasce dalla suggestione legata alla creazione qualche anno fa in Gran Bretagna di un ministero così denominato.
Questa notizia diventa l'occasione per riflettere sulla contemporaneità e sulle molteplici amplificazioni di solitudini che la caratterizzano. Lo spettacolo ruota intorno a cinque personaggi: Primo, che di lavoro fa la moderazione dei social network eliminando contenuti non in linea con le policy e che condivide la vita con una Real Doll di nome Marta; F. è un apicoltore sempre a corto di soldi che si rivolge al ministero per avere un finanziamento più volte rifiutato; Alma è una ragazza ossessionata dalla fine delle cose e che vive prevalentemente confinata in casa; sua madre Teresa punta tutto sul romanzo che sta scrivendo e che si aspetta che un giorno venga pubblicato; Simone è la segretaria del Ministero della solitudine che gestisce tutte le pratiche e le relazioni che lo riguardano.
Il tutto si svolge in una scenografia al cui centro troneggia una struttura rotante a tre facce (un distributore di bevande ma anche di oggetti vari, un grande frigorifero in acciaio, una porta con il poster di un atollo), sul palco ci sono alcune sedie e tavoli, e sullo sfondo dominano delle luci al neon che conferiscono all'ambiente un'allure un po' retro, un po' anonima e un po' pop.
Le storie dei singoli personaggi (se vogliamo chiamarle storie) procedono parallelamente, e talvolta anche sovrapponendosi in una cacofonia che a tratti risulta difficile da seguire.
I personaggi hanno modi quasi robotizzati (come emerge fin dalla prima scena in cui attraversano la scena camminando più o meno velocemente e talvolta accennando dei movimenti di danza), e nel loro parlare rivelano sé stessi, ma soprattutto richiamano tutta una serie di questioni della contemporaneità (il disastro ambientale, la violenza, la sopraffazione, i social network e molto altro).
E fin qui potrebbe sembrare qualcosa di interessante. Peccato che il tutto faccia fatica a prendere senso e a decollare sul serio. La sensazione complessiva sul piano della drammaturgia è quella di un insieme di spunti presi qua e là, ma non sviluppati o poco sviluppati, e che a tratti risultano anche piuttosto banali o fintamente intellettualistici. Molti passaggi e molti elementi a me sono risultati poco comprensibili o quantomeno hanno fatto fatica a trovare un senso, e a un certo punto mi sono chiesta dove tutto questo andasse a parare. Ed effettivamente secondo me non andava a parare quasi da nessuna parte.
Alcuni spettatori vanno via durante lo spettacolo (cosa che raramente mi è capitato di vedere a teatro), al termine l'applauso è tiepido e quasi di circostanza, solo pochissime persone del pubblico urlano apprezzamenti, ma risultano poco credibili.
Non so se lo spettacolo è troppo raffinato e io non l'ho compreso, oppure è esattamente quello che mi è arrivato, ossia uno spettacolo un po' pretenzioso ma irrisolto. Poi vedo che ha anche vinto dei premi Ubu, ma - che dire - a me non è piaciuto.
Voto: 2/5
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