Il documentario di Patricio Guzmán racconta la grande sollevazione popolare iniziata in Cile nell'ottobre del 2019 e che è proseguita per diversi mesi riempiendo le strade di Santiago del Cile di milioni di persone. Le proteste sono partite dagli studenti delle scuole secondarie a seguito della notizia di un aumento di 30 euro dell'abbonamento ai mezzi di trasporto, ma a questa protesta si è agganciato il malcontento diffuso della popolazione cilena e il desiderio di vivere in un paese più giusto e con minori disuguaglianze.
Guzmán ha scelto di raccontare questa nuova "rivoluzione" cilena dal punto di vista delle donne, che hanno avuto un ruolo importante nelle proteste di piazza e sono state esplicitamente citate dal nuovo presidente Gabriel Boric nel suo discorso di insediamento.
Il regista intervista dunque alcune donne che hanno partecipato attivamente a questo movimento: una studentessa, una giovane madre, una scrittrice, una studiosa di scienze politiche, una scacchista, un gruppo di donne che ha scritto un testo che è poi diventato un inno della protesta, e così via. Tutte donne che trasmettono una lucidità, una consapevolezza e una chiarezza di intenti davvero mirabili, accomunate non da un'appartenenza politica o da un'ideologia, ma da una condivisione di valori, cosa che ha rappresentato l'elemento nuovo caratterizzante questa imponente azione collettiva.
Come sappiamo, le manifestazioni di piazza sono state affrontate dal governo allora in carica con un enorme spiegamento di mezzi e militari, trasformando questa collettiva richiesta di cambiamento e di nuove azioni politiche in una quasi guerra civile e in una guerriglia urbana violenta, in cui molti sono stati i feriti. A questo proposito mi pare che Guzmán sottolinei e in qualche modo rivendichi l'importanza della documentazione, fotografica e video, che è strumento di protezione della verità, ma anche di costruzione di una narrazione collettiva ed emotiva assolutamente fondamentale in questi contesti.
La caparbietà dei manifestanti e soprattutto il loro intento costruttivo più che distruttivo hanno portato alla richiesta tramite referendum della nascita di un'assemblea costituente per scrivere una nuova costituzione capace di superare quella del 1980, nata nel pieno della dittatura, e poi alla vittoria alle elezioni presidenziali del 2022 del trentacinquenne Gabriel Boric, il più giovane presidente della storia cilena.
Il film di Guzmán si ferma all'insediamento dell'Assemblea costituente e al primo discorso in piazza di Gabriel Boric dopo la sua elezione, e dunque si esce dal cinema col cuore gonfio di gratitudine e speranza per un'azione collettiva che ha portato esiti positivi e ha aperto un futuro nuovo per questo paese, che poi sono i sentimenti che traspaiono anche nelle parole del regista: la possibilità di far rimarginare e curare definitivamente la ferita apertasi dopo il colpo di stato dell'11 settembre 1973 che uccise Allende e portò al potere Pinochet.
In realtà, sappiamo anche che nel frattempo il testo licenziato dall'Assemblea costituente non è stato approvato, che è in corso la stesura di un secondo testo che però anche questa volta rischia di non passare e di lasciare in vigore la costituzione del 1980, che la situazione economica del Cile non è facile, che Gabriel Boric ha fatto alcuni passi falsi nella sua strategia politica, e che sta crescendo il partito di estrema destra al punto che alle prossime elezioni si rischia la vittoria del loro candidato. Come qualcuno fa notare, il problema del Cile è che non ha fatto del tutto i conti con la dittatura, perché Pinochet non è stato destituito e sconfitto, ma solo la sua morte ha portato a un processo lento e parziale di transizione democratica.
Insomma, la speranza accesa dal documentario di Guzmán inevitabilmente si scontra con l'evoluzione degli eventi, che non fa ben sperare e ci riporta alla mente tante altre rivoluzioni nate dal basso che hanno portato al rovesciamento di governi non democratici, ma che sul medio termine non sono riuscite a stabilizzare nuovi equilibri democratici e basati su principi egualitari, anzi hanno dovuto assistere ad involuzioni fortemente antidemocratiche.
Il mondo in questi ultimi tempi - sarà anche per la mia età - mi sembra una pentola a pressione, in cui i malumori per un sistema socio-economico malato che concentra la ricchezza in poche mani e produce disuguaglianze enormi continuano a crescere, ma le uniche risposte che arrivano dalle istituzioni e dalla politica sono di stampo populista e parlano alla parte meno nobile del nostro essere umani.
Personalmente sono purtroppo pessimista rispetto a questa situazione, perché faccio davvero fatica a intravedere anche solo lontanamente delle strade e delle soluzioni. La globalizzazione di alcuni fenomeni socio-economici fa sì che la strada verso un futuro diverso non possa essere percorsa con speranza di successo da un solo paese, perché inevitabilmente le politiche nazionali sono inserite in un sistema globale complesso e perché spesso i processi che avvengono in alcuni paesi sono fortemente condizionati dalle ingerenze di paesi più forti che tengono a mantenere determinati equilibri.
Voto: 4/5
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