Approfitto della rassegna "Cannes Mon Amour", organizzata da Circuito Cinema, per andare a vedere in anteprima il nuovo film di Hirokazu Kore-Eda, che ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura (di Yûji Sakamoto) a Cannes.
Della sua filmografia ho visto tanto, ma non tutto, e l'ultimo film (Le buone stelle, che comunque mi dicono non essere il suo migliore) l'ho lisciato completamente.
Con questo nuovo film trovo un Kore-Eda secondo me in gran forma, sebbene non si tratti certamente di un film senza difetti. L'impianto scelto dal regista giapponese è quasi quello di un giallo.
Il protagonista è Minato (Soya Kurokawa), un ragazzino preadolescente che vive con la madre (il padre è morto, e scopriremo più avanti altri dettagli) e frequenta la scuola della sua città. Un giorno nella vita di questo ragazzino cominciano a succedere delle cose che mettono in allarme il mondo circostante.
La medesima storia viene raccontata prima dal punto di vista della madre, Saori (Sakura Andô), che a partire dagli indizi che ha e dalle poche parole che ascolta da suo figlio si costruisce una propria narrazione di quello che sta accadendo e si convince che Minato sia maltrattato dal maestro Hori (Eita), i cui comportamenti di fronte alla madre, nonché quelli della preside e del corpo docente, sono sufficientemente ambigui da sembrare confermare la versione di Saori.
Il secondo punto di vista è quello dello stesso Hori, di cui solo a questo punto conosciamo meglio vita e personalità. In questa seconda ricostruzione degli eventi alcune situazioni si chiariscono, altre si ribaltano, altre continuano a risultare ambigue.
È solo quando Kore-Eda ci introduce al punto di vista dello stesso Minato che via via tutti i pezzi del puzzle tornano al loro posto, e anche noi spettatori comprendiamo quale verità si cela dietro una serie di reticenze.
A fare da collante tra questi punti di vista la figura della preside della scuola, che pure ha alle spalle una storia la cui interpretazione non è necessariamente univoca.
Questo alternarsi di punti di vista è realizzato con una perizia e una raffinatezza registica che si manifesta nella scelta di inquadrature originali nonché nella fluidità con cui si passa da un punto di vista all'altro, andando avanti e indietro nel tempo, ma senza risultare didascalici e lasciando allo spettatore il compito di mettere insieme i pezzi e di partecipare attivamente alla ricostruzione narrativa.
Al termine del film, la domanda che resta sospesa è: chi è il mostro a cui fa riferimento il titolo del film? Probabilmente tutti, e nessuno. Ognuno dei protagonisti di questa storia risulta a suo modo e a tratti mostruoso, ma il regista - sempre fedele a una poetica che da anni si declina in modi diversi ma simili - punta in realtà il dito non tanto nei confronti dei singoli, quanto nei confronti della società giapponese e delle sue istituzioni, a partire dalla famiglia fino ad arrivare alla scuola. Per l'ennesima volta Kore-Eda sembra dirci che dalla famiglia giapponese (qualunque forma essa assuma) non si esce indenni, ma che non c'è speranza neanche al di fuori della famiglia, in una società dove l'ossessione per l'apparenza e il decoro schiacciano le istanze delle persone, costrette a fare i conti perennemente con il giudizio altrui, condizione da cui non si salvano nemmeno i ragazzini, tratteggiati - come sempre nei suoi film - con un'attenzione, un realismo non buonista e un'introspezione notevoli.
Il film di Kore-Eda inizia cupo e misterioso come un giallo, e finisce (sulle note della colonna sonora del compianto Ryuichi Sakamoto) luminoso e poetico, ma pur sempre misterioso, in un finale variamente interpretabile, che esteticamente mi ha ricordato la scena della corsa nei campi dei protagonisti di Close di Lukas Dhont, film con il quale Monster ha alcuni piccoli ma importanti punti di contatto, sebbene il contesto sia completamente diverso.
Voto: 4/5
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