Questi ultimi scampoli della stagione cinematografica prima dell'allentamento estivo ci regalano il nuovo film di Marco Bellocchio, ispirato al libro Il caso Mortara di Daniele Scalise.
Siamo nel 1858 a Bologna, parte ancora dello stato pontificio. Il piccolo Edgardo Mortara (Enea Sala) è il sestogenito di otto figli dei coniugi ebrei bolognesi Momolo (Fausto Russo Alesi) e Marianna (Barbara Ronchi). Quando ancora non ha compiuto sette anni, il bambino viene prelevato dalla gendarmeria pontificia, dopo che l'Inquisitore padre Feletti è venuto a conoscenza del fatto che il piccolo all'età di un anno è stato battezzato - all'insaputa dei genitori - dalla bambinaia, convinta che il piccolo fosse in pericolo di vita. Secondo il diritto canonico, a quel punto il bambino è ormai cattolico e non può essere allevato da genitori di un'altra religione, cui viene dunque tolta la patria potestà.
Il piccolo Mortara viene così portato a Roma per essere cresciuto secondo gli insegnamenti della Chiesa cattolica, e nonostante i numerosi tentativi dei genitori di riavere il figlio e il clamore suscitato dal caso anche a livello internazionale, con il coinvolgimento dei giornali e persino di Napoleone III, l'allora pontefice Pio IX (Paolo Pierobon) si rifiuta di restituire il bambino, nella sua posizione al di sopra delle leggi umane.
Solo con la fine dello stato pontificio, la nascita dello stato italiano e l'ingresso delle truppe italiane a Porta Pia nel 1870 si creano le condizioni perché Edgardo, ormai ragazzo (Leonardo Maltese), possa tornare a Bologna presso la sua famiglia. Ma a quel punto il giovane, pur in parte confuso e destabilizzato, sceglie di rimanere a Roma e di proseguire il suo percorso che lo porterà a diventare sacerdote, ministero che ha continuato a esercitare fino alla morte avvenuta a quasi novanta anni.
Quella di Edgardo e della famiglia Mortara è una storia inquietante ed emotivamente di grande impatto, che Marco Bellocchio racconta in maniera partecipata e quasi militante, con uno sguardo molto critico nei confronti dei vertici della chiesa e in particolare di Pio IX, ma soprattutto con grande comprensione per la vicenda di questo bambino cui viene imposta un'identità che non gli appartiene ma che alla fine non può che riconoscere come propria, a meno di non far crollare tutta l'impalcatura della sua esistenza.
La prima parte del film, quella in cui Edgardo è ancora bambino, è molto ben costruita e cinematograficamente molto efficace, anche grazie ai meriti interpretativi di uno spaurito e obbediente Enea Sala e dei due bravissimi Alesi e Ronchi nel ruolo dei genitori, oltre che di una fotografia di grande impatto visivo.
Il montaggio è molto ben realizzato, soprattutto quando raffronta e interseca situazioni opposte e che in qualche modo rappresentano le alternative della vita di Edgardo.
La violenza che attraversa questa vicenda e l'esercizio del potere da parte del papa-re sono manifeste e sottolineate da una musica forse fin troppo roboante, ma trasformano un film che è attraversato in buona parte dall'arte del pregare in qualcosa di tutt'altro che pacifico, bensì sconquassato da lotte esteriori e interiori spesso senza esito.
Bravo Bellocchio.
Voto: 3,5/5
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