Nell'ambito della rassegna cinematografica all'aperto "Sotto le stelle dell'Austria" organizzata dall'Istituto austriaco - Forum austriaco di Roma il primo film che viene proposto al pubblico è Grosse Freiheit, uno dei film austriaci di maggiore successo dell'anno, come testimoniato dall'ottima accoglienza nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes e dall'ingresso nella shortlist dei film candidati agli Oscar per il miglior film straniero.
Il film è presentato dall'organizzatore del festival romano insieme a Eva Sangiorgi, direttrice del più importante festival cinematografico austriaco, ossia la Viennale, dove il film è stato ovviamente presentato.
Quello di Sebastian Meise è un film totalmente al maschile: protagonista è Hans Hoffmann (Franz Rogowski), di cui seguiamo - con continui andirivieni temporali - gli ingressi in carcere, iniziati subito dopo la fine della guerra e proseguiti fino alla fine degli anni Sessanta. Hans è omosessuale e in quanto tale durante la seconda guerra mondiale era finito in un campo di concentramento, uscito dal quale aveva subito conosciuto il carcere, in virtù del paragrafo 175 del codice penale tedesco che puniva in questo modo le condotte omosessuali.
In realtà il film di Meise inizia dall'ultima incarcerazione, quella avvenuta alla fine degli anni Sessanta, quando Hans è già uso alla vita nel carcere e dove re-incontra Viktor (Georg Friedrich), un uomo che sta scontando una lunga pena per omicidio volontario. Non è chiaro quali siano i rapporti tra Hans e Friedrich, ma i flashback che ci riportano indietro a quando Hans è stato incarcerato la prima volta nel 1946 e poi la seconda volta negli anni Cinquanta ci permettono a poco a poco di comprendere questi due personaggi, così diversi eppure alla fine così bisognosi l'uno dell'altro.
Hans è ostinatamente intenzionato a cercare l'amore e a vivere la sua identità sessuale nonostante tutto, e lo fa con una creatività e una forza d'animo straordinarie, che investono anche coloro che incrociano il suo cammino da un punto di vista affettivo. Ma non tutti hanno il suo coraggio e sono disposti a subire - per poter essere sé stessi - quello che lui subisce nel corso del tempo .
Viktor è la massima espressione della cultura maschilista (è in galera perché ha sparato all'amante della sua fidanzata) e non perde occasione di fare sfoggio della sua omofobia. Eppure resta colpito dalla personalità di Hans, dal suo coraggio, dalla sua generosità e anche dalla sua tenerezza, fino a non poterne fare a meno.
La conclusione del film chiuderà il cerchio di un rapporto apparentemente impossibile, ma che riesce a infilarsi nelle pieghe della solitudine e delle fragilità di questi due uomini, anche in un contesto difficile come quello del carcere.
Il film di Meise, che è anche molto bello dal punto di vista della fotografia e della costruzione narrativa, ha un'ambientazione emotiva e psicologica totalmente maschile. Non ci sono donne in carne e ossa, ma solo richiamate da discorsi o fotografie. Questo punto di vista fortemente maschile rende il film molto fisico ed emotivamente contratto, eppure in questo universo così "rude" la figura di Hans è capace di introdurre a tratti forme di tenerezza e di poesia inattese, e che proprio per questo risultano ancora più sorprendenti ed emozionanti.
Un film che certo parla di omosessualità e di diritti negati, ma il cui focus è certamente la possibilità - sempre aperta - dell'incontro tra due anime, anche quando queste sono profondamente diverse e distanti.
Voto: 3,5/5
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