Mentre mangiamo una cosa al volo nel bistrot interno alla Sala Umberto, accanto a noi c’è tutta la compagnia che mette in scena questo spettacolo, compresi regista e attrici. Ed è buffo vederli lì che trangugiano anche loro qualcosa prima di darsi in pasto al pubblico.
Di Filippo Gili avevo visto ormai diversi anni fa Prima di andar via, che faceva parte della cosiddetta Trilogia di mezzanotte, in cui si riflette da punti di vista diversi sul tema sfuggente e complesso della morte (gli altri spettacoli sono Dall’alto di una fredda torre e L’ora accanto).
Con Ovvi destini Gili va a indagare in un tema che è centrale anche in Prima di andar via, ossia quello dei rapporti familiari. Qui sono protagoniste tre sorelle: Laura (Vanessa Scalera), la primogenita, con il vizio del gioco d’azzardo, Lucia (Anna Ferzetti), la intermedia, e Costanza (Daniela Marra), la più piccola, che è su una sedia a rotelle a causa di un incidente avvenuto in un edificio pericolante diversi anni prima.
Nella relazione burrascosa ma tutto sommato prevedibile tra queste tre sorelle interviene a un certo punto la figura di Carlo (Pier Giorgio Bellocchio), il fisioterapista di Costanza, che conosce alcuni segreti della vita di queste sorelle che potranno cambiare il corso degli eventi. Carlo – figura che a poco a poco rivela il suo lato mefistofelico, e che certamente non è del tutto realistica - prima ricatta Laura, poi invece le offre la possibilità di realizzare un desiderio.
Il colpo di scena finale metterà in discussione tutte le certezze, rivelando quanto la propria natura in un certo senso sfugga al nostro stesso controllo, rendendo i destini “ovvi” in quanto incontrollabili dalla nostra ragione.
Gli attori sul palco sono molto bravi: Bellocchio nel rendere il suo personaggio vero e irreale al contempo, le tre donne capaci di rendere con molta naturalezza sentimenti e dinamiche della relazione tra sorelle, tra momenti di avvicinamento e tenerezza e altri di conflitto e ira.
Anche la storia è abbastanza interessante, anche se personalmente non l’ho trovata particolarmente originale, tanto che persino il colpo di scena finale mi è sembrato in qualche modo prevedibile.
Sicuramente regia, scenografia e drammaturgia sono di ottimo livello, cosicché certo non si può dire che sia un brutto spettacolo.
Però, personalmente non ne sono stata conquistata, e – nonostante i cambi di registro e di umore – l’ho persino trovato un po’ monocorde e piatto. Non posso dire di essere arrivata a teatro con un qualche pregiudizio, quindi si è trattato esclusivamente dell’interazione del momento, che non ha fatto scattare la scintilla.
Peccato davvero. E certamente questa esperienza non entusiasmante non mi impedirà di offrire altre possibilità al teatro di Filippo Gili.
Voto: 3/5
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