Chimica / Weike Wang; trad. di Fabio Cremonesi. Firenze: Edizioni Clichy, 2021.
Chimica è uno dei numerosi libri che mi sono stati regalati per Natale. Con mia grande gioia, anche perché quasi tutti comprati in librerie fisiche.
In questo caso è il mio amico M. a pensare a me con questo libro ed effettivamente, quando leggo il risvolto di copertina con la presentazione dello stesso, mi ci riconosco tanto.
Non a caso è uno dei primi libri che metto in lettura appena finisco il precedente e, complice anche un viaggio in treno, lo finisco in un paio di giorni.
Il libro si inscrive in quello che per me è ormai un vero e proprio filone della letteratura contemporanea, ossia quello che ritrae il mood proprio della generazione dei venti-trentenni (penso a Sally Rooney, Naoise Dolan e molti altri).
Come sa chi legge questo blog, ho una certa idiosincrasia nei confronti di questi romanzi, ma alcuni riescono a conquistarmi. Weike Wang ci è andata vicina per due terzi del libro.
La protagonista, di cui non conosciamo il nome e che, per le origini asiatiche e alcuni dettagli biografici, sembra essere chiaramente ispirata all'autrice, è una ragazza che sta facendo un dottorato in chimica e ha una storia stabile con Peter.
Apparentemente dunque tutto bene. Fino al momento in cui Peter le chiede di sposarlo.
A quel punto tutti gli equilibri della protagonista vanno in frantumi e le insoddisfazioni vengono a galla, prima tra tutte quella per una carriera in cui non crede realmente e che infatti decide di interrompere. Ovviamente anche la storia con Peter viene messa in crisi dall'indecisione di lei, amplificata dal fatto che la vita e la carriera di Peter sembrano andare a gran velocità in una direzione molto chiara, al contrario della sua.
Fin qui empatizzo con la protagonista. Comprendo la sensazione di stare vivendo una vita che non è la propria o in cui non si crede veramente, la necessità di cambiare rotta e lo spaesamento del non sapere in quale direzione muoversi. In questa fase sono comprensibili anche tutte le riflessioni sulle proprie origini, sugli atti di razzismo e bullismo subiti, sul rapporto con i propri genitori e sulla consapevolezza dei loro limiti.
Però, quando a un certo punto questo stato di incertezza e confusione diventa una specie di brodo primordiale dal quale la protagonista sembra non riuscire o non volersi tirare fuori, comincio a non capire più. E mi pare di nuovo di trovarmi di fronte a quel girare a vuoto di una generazione che di fronte all'infelicità sembra non avere rimedi e nemmeno la forza di cercarli. Come se dall'alto dovesse arrivare un deus ex machina a risolvere tutto. O nulla.
E mi ritrovo a non riuscire affatto a ridere e neppure a sorridere dell'ironia e dell'autoironia con cui viene affrontato questo stato di cose, perché in me scatta un reazione di rabbia o nella migliore delle ipotesi di compassione.
Però Weike Wang ha una scrittura asciutta e molto efficace, che riesce a farmi apprezzare la lettura anche quando non riesco più a identificarmi con la protagonista.
Voto: 3/5
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