Cronorifugio / Georgi Gospodinov; trad. di Giuseppe Dell'Agata. Roma: Voland, 2021.
Di questo libro mi aveva parlato la mia amica A. dicendomi che leggendolo aveva pensato a me. La cosa mi aveva subito incuriosito (anche perché in passato avevo molto amato un altro suo suggerimento, Karoo). Poi, quando ho scoperto che il romanzo di Georgi Gospodinov è tutto incentrato sui temi del tempo e della memoria, ho immediatamente deciso che lo avrei acquistato e letto al più presto.
Ho saputo solo dopo che il romanzo ha anche vinto il Premio Strega europeo nel 2021, cosa che mi ha ulteriormente ben predisposto.
Di che parla Cronorifugio? Parla di un medico, Gaustin, un personaggio mitico, alter ego del narratore, forse viaggiatore nel tempo, che porta avanti un progetto ambizioso: la realizzazione di case di cura destinate al numero crescente di persone colpite dal morbo di Alzheimer, luoghi che hanno la caratteristica di essere organizzati in ambienti o interi piani ispirati a specifici decenni o anni del passato nei quali questi malati possano sentirsi a proprio agio. Il narratore – anche a seguito di vicende personali – finirà coinvolto in questo progetto, destinato ad ampliarsi sempre di più con la realizzazione di interi quartieri o paesi “collocati” nel passato, veri e propri “cronorifugi”.
Presto però l’idea di un “cronorifugio”, ossia di un tempo nel quale rifugiarsi, da fenomeno individuale si trasforma in esigenza collettiva e sociale, al punto che nei paesi europei viene indetto un referendum attraverso il quale i cittadini potranno decidere di tornare a un decennio del passato della loro storia nazionale, con esiti che oscillano tra il comico, il malinconico e il tragico.
La prima parte, quella che si sofferma sulla dimensione individuale della perdita della memoria, ha un tono più lirico e malinconico, mentre nella seconda parte, quando lo sguardo si allarga alla collettività e alle nostre società sempre più nostalgiche e polarizzate, il tono diventa quasi satirico, e ovviamente finisce per incontrare anche il drammatico e il tragico.
Certamente c’è una componente personale e culturale in questo senso della nostalgia che pervade le pagine di Gospodinov, che probabilmente viene anche dalla sua storia e da quella della Bulgaria (di cui mi rendo conto di sapere pochissimo, e di fare fatica a cogliere i riferimenti di cui è disseminato il romanzo. Meno male che ci sono delle note e un glossario esplicativi). Ma ci sono anche tanti, se non tutti, i mali della nostra società: le divisioni, le narrazioni tossiche, la finzione, l’incapacità di comunicare.
Quello che comunque alla fine colpisce è la completa assenza di uno sguardo di prospettiva, come se il futuro non avesse più nulla di veramente nuovo da offrire, o - peggio ancora - come se qualunque novità venisse percepita come negativa, e dunque si preferisse rifugiarsi in quello che si conosce. Anche se a guardare bene quello che conosciamo e che è stato non è poi così bello e soddisfacente come lo ricordavamo.
Al termine del romanzo resto con un pensiero nella testa (forse anche perché ho scritto questa recensione il 1 gennaio del 2022): lasciamoci sorprendere dal futuro, perché la curiosità e l’apertura a tutto quello che arriva è il bene più prezioso che possiamo coltivare come esseri umani.
Voto: 3,5/5
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