La casa tonda / Louise Erdrich; trad. di Vincenzo Mantovani. Milano: Feltrinelli, 2012.
Questi romanzi di formazione, racconti di coming of age, mi attirano sempre. In questo caso leggendo la trama mi erano venuti in mente due romanzi che mi erano piaciuti molto, Il buio oltre la siepe e La sottile linea scura. Anche in questo caso siamo infatti nel cuore degli Stati Uniti d’America, il protagonista è una ragazzino tredicenne, Joe, che in un’estate vede cambiare la propria vita, anche qui si parla di una minoranza discriminata (i nativi americani) e di un caso giudiziario (lo stupro della madre di Joe, probabilmente da parte di un bianco).
Le premesse ci sarebbero tutte per una lettura appassionante, tanto più che l’autrice, Louise Erdrich, sembra conoscere molto bene la cultura indiana e infarcisce il racconto non solo di riferimenti ad essa, ma anche di componenti narrative che in essa affondano le radici (per esempio, le storie surreali che il vecchio Mooshum racconta mentre dorme).
Non si può dire che il romanzo non abbia meriti, ma – sarà anche perché non l’ho letto con la continuità che sarebbe stata necessaria – la sensazione di rimanere un po’ estranei al racconto è forte, così come quella di una narrazione un po’ discontinua e di un intreccio non proprio riuscitissimo in termini di credibilità.
Insomma, il libro avrà pure vinto uno dei più prestigiosi premi americani nel settore letterario (il National Book Award), ma a me non ha convinto, forse perché non ha saputo sfruttare al meglio i suoi elementi di originalità che probabilmente gli avrebbero permesso di staccarsi dai suoi illustri predecessori.
Personalmente non ne ritengo fondamentalmente la lettura.
Voto: 2,5/5
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