Personalmente trovo che Still life sia uno dei film più belli degli ultimi anni, e quindi quello che arriva da Uberto Pasolini lo considero imperdibile a prescindere.
Così, approfitto della tradizionale rassegna Da Venezia a Roma (che per fortuna anche quest’anno incredibilmente possiamo gustare in sala) per andare a vedere il suo ultimo film, Nowhere special, presentato appunto all’ultima mostra del cinema di Venezia.
La storia è quella di John (James Norton) e di suo figlio di quattro anni, Michael (lo straordinario Daniel Lamont). Siamo a Belfast: John fa il lavavetri, e fin dalla prima inquadratura del film - un vetro insaponato e poi risciacquato – queste superfici che riflettono la propria immagine o lasciano vedere ma non toccare quello che sta al di là sono assolute protagoniste della narrazione.
Possiamo dire che per John il figlio Michael è la sua immagine riflessa, quel sé stesso bambino che non ha avuto una madre e che ha dovuto affrontare l’abbandono del padre, e la sua vita da lavavetri è la metafora di un destino crudele che condannandolo a morte a 34 anni per un male incurabile lo costringerà dietro il “vetro” della morte.
La più grande missione di Michael diventa dunque quella di preparare il futuro migliore possibile per suo figlio, cercandogli una famiglia ed evitandogli gli orfanotrofi che hanno popolato la sua infanzia. Con l’aiuto degli assistenti sociali, si susseguono le visite a coppie o single che si sono resi disponibili per adottare un bambino, mentre le giornate procedono tra il lavoro di lavavetri e il tempo trascorso con il figlio: i pasti, i giochi, le letture a letto, il bagno, l’asilo, la spesa, le arrabbiature, i momenti di tenerezza.
Ancora una volta al centro delle riflessioni di Pasolini c’è il rapporto con la morte, sebbene in questo caso virato in chiave fortemente melò. Di fronte al rapporto tra un giovane padre e un figlio innamorati l’uno dell’altro e destinati a essere divisi da un destino atroce è difficile rimanere indifferenti e il regista non si sottrae al dramma sentimentale, anzi ci offre alcuni quadretti familiari indimenticabili che stringono il cuore per la loro tenerezza e bellezza. Si pensi alla scena del bagnetto, ovvero a quella del pigiama, o ancora a quella del divano letto e della coperta.
Pasolini però dimostra di non puntare al melodrammatico come fine ultimo della narrazione, bensì utilizza questo linguaggio per parlarci ancora una volta della complessità del nostro rapporto con la morte e ancora una volta ne cerca il senso nei ricordi di chi resta. John inizialmente vorrebbe trovare una famiglia per suo figlio senza lasciare traccia di sé cosicché Michael in futuro non debba neanche ricordare di aver avuto un padre che l’ha abbandonato troppo piccolo, né vuole spiegare al bambino cosa succederà. Il rapporto con Michael in questo ultimo scorcio della sua vita gli insegnerà che non si può risparmiare a nessuno la necessità di fare i conti con la morte e che questa necessità è l’unica condizione per poter imparare a vivere.
John e Michael cresceranno insieme in questo percorso di consapevolezza e di amore reciproco fino a scambiarsi idealmente il testimone durante il giorno gioiosamente trascorso insieme alle giostre, dove nella casa degli specchi deformanti potranno finalmente vedere il futuro: John piccolo e Michael cresciuto a dismisura. Bisogna dunque avere uno specchio deformante e guardare al di là della realtà riflessa e di quella che si mostra al di là dei vetri per cogliere il mistero del futuro dopo di noi, un mistero troppo grande e fuori portata rispetto agli esseri umani.
Un film stilisticamente lontanissimo da Still life, ma che comunque arriva al cuore per altre strade più dirette. Per una persona razionale come me che di fronte al melò non può fare a meno di sentirsi un po’ ingannata (o meglio tirata per la collottola) questa strada risulta meno convincente. Ma Pasolini è bravo e sarà dunque difficile dimenticare John e Michael, come lo era stato per l’altro John interpretato dal grande Eddie Marsan.
Voto: 3,5/5
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