Lo spettacolo L'abisso è la trasposizione teatrale del testo che Davide Enia ha pubblicato per Sellerio con il titolo Appunti per un naufragio. Sul palco lo stesso Enia, palermitano, classe 1974, considerato uno degli esponenti italiani del cosiddetto 'teatro di narrazione', alla maniera di Marco Paolini e Ascanio Celestini, affiancato dal chitarrista Giulio Barocchieri, anch'egli palermitano, compositore nonché esecutore - con la chitarra classica ed elettrica - delle musiche, splendide e affascinanti, oltre che perfettamente eseguite, che accompagnano lo spettacolo.
Le luci si accendono sulle due sedie dove sono seduti il musicista e il narratore, e dopo qualche secondo di silenzio, Enia guarda il pubblico negli occhi e comincia il suo racconto, come se riprendesse il filo di un discorso iniziato ben prima. E così, iniziando dal dialogo con il sommozzatore (il rescue swimmer) che "non è di sinistra, anzi sta proprio dall'altra parte", ma arriva dal nord per salvare vite umane nel Mediterraneo perché "questa è la legge del mare", Enia srotola davanti ai nostri occhi le storie di tante persone, mescolando privato e pubblico, personale e collettivo, e lo fa da testimone che a un certo punto della vita ha deciso di recarsi volontariamente a Lampedusa, insieme a suo padre, per conoscere più da vicino la vicenda degli sbarchi.
Dentro questo racconto trovano spazio tante cose diverse: il rapporto tra lo stesso Davide e suo padre, un uomo di poche parole ma di profondi sentimenti, quello con la malattia e poi la morte dell'amatissimo zio, le storie di Paola e Melo, i due amici che hanno una casa a Lampedusa e che sono stati protagonisti di un drammatico salvataggio di naufraghi, e poi la figura di Vincenzo, il guardiano del cimitero di Lampedusa e la pietas con cui persegue l'obiettivo di dare sepoltura a tutti i morti, indipendentemente dalle origini e dal colore della pelle, e ancora i racconti dei rocamboleschi salvataggi in mare, come quello epico che ricongiunge un padre con il figlio piccolo, le storie di orrore di chi è sopravvissuto, e soprattutto le morti, a centinaia, a migliaia, che hanno trasformato il Mediterraneo in un mare in cui i cadaveri sono numerosi quanto i pesci.
In questa cavalcata narrativa, Enia alterna la lingua italiana al dialetto siciliano, la prosa al canto, i modi di dire alle interpretazioni, e il dolore privato viaggia di pari passo con quello che deve essere necessariamente pubblico, fino al momento in cui queste due dimensioni confluiscono e si mescolano indissolubilmente, perché il dolore è uno solo e non conta quanti sono i gradi di separazione che ti allontanano dall'altro.
Il testo di Enia è potente e procede in un crescendo che conquista gli animi degli spettatori e muove corde emotive profonde.
A dire la verità, inizialmente, lo stile recitativo di Enia, con il suo modo di gesticolare tra l'artefatto e il robotico, a tratti con una modalità quasi mimica, mi hanno lasciato un po' perplessa e non hanno certamente favorito l'empatia e il coinvolgimento emotivo. Poi mano mano, fors'anche perché lo stesso Enia si è andato un po' ammorbidendo in questa modalità recitativa, mi sono lasciata conquistare dal racconto.
Al termine dello spettacolo, nel fare un bilancio mentale di quanto appena visto, ho avuto la sensazione che il racconto legato alla propria storia privata fosse emotivamente più diretto, mentre quello degli sbarchi, dei naufragi e dei salvataggi fosse più mediato, e mi sono chiesta se non si sia trattato addirittura di una scelta dell'autore volta a prendere un minimo di necessaria distanza emotiva da cose in fondo sproporzionate e troppo più grandi di quello che un essere umano può sopportare. O forse si tratta semplicemente di uno stile recitativo particolare cui io non sono abituata.
Ciò detto, lo spettacolo resta di grandissimo impatto e il teatro di narrazione si conferma tra i miei preferiti.
Voto: 4/5
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