Dopo aver visto l’anno scorso, sempre all’Ambra Jovinelli, Giuseppe Battiston interpretare Winston Churchill, era quasi inevitabile la sensazione di déjà-vu suscitata dallo spettacolo in programma quest’anno, Orson Welles’ roast.
Può essere che lo stesso Battiston, a seguito del successo dello spettacolo dello scorso anno, abbia deciso di riportare in scena questo testo, da lui scritto insieme a Michele De Vita Conti oltre dieci anni fa, e per la cui interpretazione ha vinto numerosi premi.
Se – come ci viene spiegato dal protagonista all’inizio del monologo - nel mondo americano il “roast” è un discorso ironico che viene pronunciato in occasione di compleanni o altre celebrazioni da parte di amici e parenti per prendere in giro il festeggiato, l’idea in questo caso è quella di portare in scena un redivivo Orson Welles affidando a lui stesso il proprio “arrosto”.
In pratica, attraverso la mediazione di Giuseppe Battiston, Orson Welles è chiamato a raccontare sé stesso in maniera autoironica, compito ch’egli accetta solo nella convinzione che l’arrosto sia la più nobile delle cotture.
Da qui si dipana un monologo di circa un’ora durante il quale Welles percorre episodi più o meno noti della sua vita, svelando il proprio carattere e le proprie idiosincrasie, sempre accompagnato dal suo inseparabile sigaro.
Devo ammettere che conosco pochissimo Orson Welles (e so che si tratta di una lacuna che dovrei colmare) e devo anche confessare che sono arrivata alla sera dello spettacolo stremata da una settimana davvero intensa, e sicuramente la combinazione di questi due fattori non ha favorito la mia concentrazione e attenzione.
Però a un certo punto non sapevo più se stavo guardando Battiston che interpretava Orson Welles, ovvero Orson Welles che interpretava Churchill, o questi ultimi due che interpretavano Battiston. Sarà per alcune caratteristiche comuni dei due personaggi storici, sia fisiche (la stazza e le nuvole di fumo prodotte dall’onnipresente sigaro) sia caratteriali (un egocentrismo e una sicurezza di sé molto pronunciati), ovvero per l’insieme della situazione (in particolare lo stesso palco e lo stesso interprete), certo è che le parole pronunciate hanno cominciato a un certo punto a galleggiare nella mia mente in cerca di approdi senza trovarli, mentre la mia poltrona di platea mi è risultata via via sempre più scomoda costringendomi a cambiare continuamente posizione.
In breve tempo la noia si è impadronita di me e, nonostante i miei sforzi per allontanarla, non sono riuscita a liberarmene.
Non mi permetto di esprimere giudizi sulla qualità dell’interpretazione di Battiston, ma nemmeno posso omettere di dire che lo spettacolo non solo non mi ha conquistata ma mi è risultato più faticoso del dovuto.
Voto: 2,5/5
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