Da grande / Jami Attenberg; trad. di Viola Di Grado. Firenze: Giuntina, 2018.
Ho comprato questo libro perché scelto da Vulture, l'inserto del New York Magazine, per la lista dei 100 migliori libri del XXI secolo e anche perché in questa lunghissima lista era tra quelli che mi avevano attirata di più.
Quando ho avuto poi il libro in mano mi ha colpito anche il fatto che la traduttrice è Viola Di Grado, di cui a suo tempo avevo letto e apprezzato il romanzo di esordio, Settanta acrilico trenta lana.
Così mi sono buttata di buon grado nella lettura del romanzo di Jami Attenberg.
La storia è quella di Andrea, una donna che ha ormai una quarantina d'anni (anche se il presente del libro non sempre è facile da individuare, perché la narrazione va avanti e indietro nel tempo capitolo dopo capitolo, senza riferimenti temporali, dunque lasciando al lettore l'onere - ma anche il divertimento - di ricostruire i pezzi del puzzle in una sequenza cronologica corretta) e vive a New York (che come dice lei non è una conquista, ma una sconfitta visto che è la sua città e ci è tornata a vivere dopo aver vissuto a Chicago).
Andrea è single, non è mai stata sposata né vuole farlo, non ha figli né li desidera, è un'artista ma ha mollato l'arte per un deprimente lavoro nel marketing che le consente però di vivere da sola; ha una madre attivista politica, che ha combattuto tutta la vita contro la tossicodipendenza del padre, un fratello musicista che ha sposato una donna che lavora in un magazine e con cui avrà una bambina nata con una disabilità grave e di cui si attende solo la morte. Andrea non rifugge la compagnia maschile, ma le sue storie sono fugaci ovvero di breve durata, per i motivi più vari.
Man mano che gli anni passano Andrea vede le persone che gli stanno intorno "sistemarsi", a partire da suo fratello per arrivare alla sua amica Indigo, che si sposano, fanno dei figli, e cambiano regime di vita.
La domanda che è sottesa a tutto il libro è se si diventa grandi solo una volta che si costruisce una storia seria e magari si fanno anche dei figli, oppure se esiste un altro modo di essere grandi, un modo che non prevede la responsabilità di una famiglia e dei figli, ma che richiede di mettersi comunque di fronte a sé stessi.
La constatazione che attraversa le pagine di Jami Attenberg è che - indipendentemente dalle scelte che si fanno, ossia che ci si sposi o meno, che si abbiano dei figli o meno - arriva per tutti un'età della vita che inevitabilmente comporta la rinuncia ai sogni della giovinezza, alla leggerezza e che porta con sé le paure, le frustrazioni e qualche tristezza, ma anche delle gioie e dei modi nuovi di viverle.
C'è di sottofondo una critica, nemmeno tanto sottile, a una società che - soprattutto nei confronti di una donna - la considera incompleta o con qualche problema se diventa "grande" senza essere in una coppia stabile e senza avere dei figli.
In un certo senso il romanzo della Attenberg sembra dimostrare che non sono le strade che si prendono a fare o no la nostra felicità, bensì il nostro atteggiamento verso la vita e la nostra resilienza di fronte agli eventi. E a suo modo Andrea dimostra di possedere questa dote.
Non si può dire che si esca ottimisti da questa lettura, ma - come nella vita - si alternano sorrisi e dispiaceri, perché niente resta lì per sempre.
Voto: 3/5
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