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Una sintesi della città |
In inglese esiste l'espressione "When in Rome", che è in realtà la prima parte di una frase che recita: "When in Rome, do as the Romans do", in pratica un monito ad assumere le abitudini dei locali quando si è in un posto che non è il proprio. Da qui il titolo di questo post, perché noi che da Roma ci veniamo, nel partire per questo viaggio ci siamo date il compito di fare come fanno i londinesi e sentirci "quasi" londinesi per 4 giorni.
Con la sempre ottima scusa di fare a me stessa un regalo per il compleanno e avendo scoperto mesi fa che a fine maggio, a Londra, al Victoria Park si svolge l'
All Points East Festival, un grosso festival musicale all'aperto, propongo a S. e F. di trascorrere qualche giorno nella capitale inglese.
E così siamo in partenza. Per me è - credo - la quarta volta a
Londra, il che vuol dire che le mete turistiche più classiche le ho viste tutte, sebbene a modo mio, ossia senza accurate visite ai musei e ai monumenti!
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Regent's Canal |
Appena messo piede a Londra, mentre aspettiamo il treno che dall'aeroporto ci porta a centro città veniamo accolte con una sorpresa. Sul sedile vicino al nostro c'è una busta abbandonata che contiene una bottiglia di vino bianco appena comprata con tanto di scontrino (che portiamo via e che poi alla fine lasceremo in omaggio alla casa che ci ospita).
A dormire siamo in un tipico appartamento londinese a tre piani nella zona dell'East End londinese, al confine sud di
Victoria Park (del resto questa è la mia zona preferita della città): l'ingresso dà su un corridoietto che porta alla cucina e alla sala con le grandi vetrate, poi invece a sinistra scendendo e salendo le scalette si va nelle due camere da letto che danno entrambe sul backyard.
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Casa nella zona dell'East End londinese |
Per la prima sera - che è anche quella del mio compleanno - decidiamo di fare le "giovani" e andiamo al
Boxpark di Shoreditch, un edificio a due piani composto di box che si aprono su corridoi e spazi di conviviali dove la gente si ferma a chiacchierare, a bere e a mangiare. I box ospitano infatti piccoli esercizi commerciali che preparano e vendono cibo, soprattutto street food da tutto il mondo. C'è tantissima gente e il volume tra voci e musica è così alto che si fa fatica a scambiare due chiacchiere, però l'atmosfera è bella e tutto sommato rilassata. Noi optiamo per un ottimo panino con pastrami, un bibimbap coreano e delle patatine fritte greche, tutto molto buono e ben innaffiato da birra alla spina.
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Il Tower Bridge visto dai St. Katherine's docks |
Per il post-cena facciamo una passeggiata a Brick Lane, trascorrendo un bel po' di tempo al
Rough Trade East, una delle sedi londinesi della mitica etichetta discografica che è anche un grande negozio di dischi e un luogo di eventi musicali.
Nei giorni successivi, andiamo alla scoperta e alla ricerca di chicche e tesori nascosti della città, che a una prima visita normalmente vengono bypassati. E così facciamo una passeggiata ai
St. Katherine's docks, una darsena in cui sono ormeggiate decine e decine di barche e yacht e pure qualche veliero. Attraversando i docks sbuchiamo sul Tamigi da dove possiamo ammirare una vista inusuale del
Tower Bridge.
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Lo skyline della city vista dalla riva sud del Tamigi |
Attraversandolo, ci spostiamo sulla riva sud del Tamigi dove facciamo una lunga passeggiata con soste prima alla
Southwark Cathedral, dove ascoltiamo anche l'inizio dell'esibizione di un coro, e poi al
Globe Theatre, dove passiamo metà del tempo nel fantastico shop. All'altezza del Millennium Bridge (che è in parte transennato per dei lavori di illuminazione che stanno facendo), ripassiamo dall'altra parte del Tamigi e ci allunghiamo fino a
St. Paul. Ci rifocilliamo alla ottima
Japanese Canteen, scelta dal numero delle persone (non turisti!) che erano lì in pausa pranzo.
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Allo Sky Garden |
Alle 13.30 siamo sotto l'ingresso di quello che i londinesi chiamano "cheese grater", il nuovo grattacielo (quando ero venuta l'ultima volta non c'era ancora) che all'ultimo piano ha il cosiddetto
Sky Garden, il cui ingresso è gratuito ma a numero chiuso e dunque va prenotato. Il posto è molto bello ed è sempre emozionante vedere una città dall'alto.
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Saint Dunstan East |
La pausa ristoratrice del pomeriggio la facciamo invece alla chiesa di
Saint Dunstan East, in realtà le rovine di una chiesa gotica su cui è nato un giardino, un'oasi di pace e tranquillità in mezzo ai grattacieli, dove ci sono molte persone che si riposano e chiacchierano, ed è in corso un servizio fotografico.
Ci dirigiamo poi verso
Covent Garden, il grande mercato coperto con la struttura in ferro, e qui non ci facciamo scappare un ottimo pastel de nata appena sfornato, visto che da
Santa Nata suonano la campanella quando i pasteis caldi (e preparati a vista) sono pronti. Ne mangeremmo una decina per ciascuna, ma ci conteniamo!
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Nei pressi dell'Inner Temple |
È a questo punto la volta di
Neal's Yard, un angolo colorato della città che si sviluppa intorno ad alcune viuzze piene zeppe di negozi di rimedi naturali e posti per i massaggi.
Ci allunghiamo poi verso
Forbidden Planet, un enorme negozio di fandom, dove è divertente anche solo perdersi tra scaffali dedicati a personaggi in parte per me sconosciuti. Uscendo ci imbattiamo in un altro buffo negozio,
Angels Costumes, dove si realizzano e si vedono costumi di tutti i tipi, anche e soprattutto per il teatro e per il cinema. Ci sono cumuli di scarpe e cappelli di ogni epoca, e sulle grucce vestiti ordinati cronologicamente :-D
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Il dragone alato vicino l'ingresso all'Inner Temple |
Da qui scendiamo verso
Seven dials, la piazza con al centro una meridiana e sette strade che vi convergono. In realtà è un punto molto trafficato della città, ma ha un suo fascino. Il pomeriggio termina su Charing Cross Road e una breve visita all'Inner Temple.
La sera facciamo veramente le londinesi, visto che siamo ospiti a casa di S. (collega e amico ormai da molti anni) e della sua famiglia, e trascorriamo una bellissima serata con squisita cena indiana, belle chiacchiere e un clima davvero internazionale.
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Regent's Canal e gazometro |
Il giorno dopo, mentre F. va in giro per musei (essendo la sua prima volta a Londra), io e S. esploriamo la zona di Hackney: il
Roman road market (mercato autentico e veramente economico, e non acchiappaturisti come a Londra ce ne sono parecchi), gli
Idea store (Bow e Whitechapel), ossia le biblioteche del comune di Tower Hamlets che S. non aveva mai visto, poi in compagnia di S. attraversiamo Victoria Park e poi il sentiero che corre lungo il
Regent's Canal che in questa mattina soleggiata e calda è pieno di gente in bici o che fa jogging.
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Un cortile a Notting Hill |
Lungo il canale vediamo anche il gazometro (che mi fa sentire un po' a casa) e S. ci mostra come sta cambiando questo quartiere, dove molti edifici abbandonati sono stati riconvertiti in working space, sempre più richiesti. Salutato S. facciamo un giro al
Broadway Market, dove già ero stata in una delle mie precedenti puntate londinesi, e che ora è diventato un posto super radical-chic nonché caro, anche se sempre molto affascinate. Mangiamo un riso indonesiano ai
London Fields e poi facciamo una lunghissima passeggiata per Whitechapel Road, dove S. cerca sulle bancarelle una maglietta a maniche corte, ma è praticamente impossibile visto che il quartiere ha una presenza musulmana altissima e le donne hanno dal velo al burqa a seconda dei casi. Io mi sono fissata che vorrei andare da
Fotografiska, la sede londinese di una galleria di fotografia svedese, ma quando siamo lì ci accorgiamo che non ha ancora aperto al pubblico, come del resto S. sospettava.
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Little Venice |
E così decidiamo di trascorrere il pomeriggio a
Notting Hill, quartiere che io non ho mai visto. Dopo un rapidissimo giro a
Portobello road (veramente niente di che!), seguendo un itinerario a piedi trovato su Internet, ci infiliamo nelle strade del quartiere alla scoperta degli angoli più nascosti e caratteristici. Il quartiere è davvero bello con le sue case vittoriane colorate con le scalette davanti, e i cortili interni curatissimi e verdissimi.
Visto che si avvicina l'orario dell'aperitivo andiamo verso
Little venice, altro luogo poco conosciuto della città. Si tratta del punto di confluenza di tre canali, dove ci sono parecchi barconi ormeggiati, alcuni dei quali trasformati in bar e luoghi di ristoro. Tentiamo di fermarci in uno di questi, ma tra posti che non vendono alcolici e altri superaffollati, decidiamo che è meglio allontanarsi il giusto dai canali per poterci bere la nostra birra in santa pace, cosa che facciamo a un pub carino,
The Warwick Castle.
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Uno dei concerti al Cafè OTO |
Per la sera abbiamo l'obiettivo di andare a sentire i concerti in programma al
Cafè OTO, che sta nel quartiere super giovanile e trendy di Dalston. Il posto ci è noto da quando a Roma io e F. siamo andate a sentire il
concerto di Daniel Blumberg e abbiamo scoperto che il Cafè OTO è l'ambiente musicale che lui bazzica e che è la fucina di giovani talenti musicali portati alla sperimentazione. La cosa ci attira né abbiamo paura della sperimentazione musicale, però quando saremo lì ad ascoltare questi tre concerti ci renderemo conto che forse il Cafè OTO è troppo persino per noi.
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Dalston, nei pressi del Cafè OTO |
Nella sala del locale, dove non c'è un vero e proprio palco, si alternano Triple negative (un artista da solo che suona musica con il suo computer e oggetti vari che ha con sé, e lo fa nel buio completo rischiarato solo da un paio di candele),
Sholto Dobie e Mark Haedwoo (che producono musica attraverso una consolle e uno sistema di produzione sonora a fiato realizzato con delle sacche di plastiche infilati in cannucce, che sembrano i sacchetti delle flebo) e i Parlour (che avendo strumenti normali - una chitarra, uno xilofono e un sax tenore - ci illudono che faranno musica ascoltabile, e invece anche in questo caso è una cacofonia cui a un certo punto ci sottraiamo).
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Dalla terrazza panoramica della TATE Modern |
L'ultima annotazione della serata è il fatto che aspettiamo il nostro autobus per più di 40 minuti e il suo percorso sarà anche deviato, senza che nessuno l'abbia annunciato. Questo almeno per non far sentire noi che viviamo a Roma troppo sfigati con i mezzi pubblici (va detto però che per il resto i mezzi pubblici a Londra, metro e autobus sono stati efficientissimi e quasi sempre non tanto affollati).
La domenica è il giorno del nostro festival al Victoria Park, ma la mattina abbiamo il tempo di tornare sulla Southbank, di fare colazione al bar interno del
BFI (British Film Institute), dove una signora un po' fulminata ci attacca bottone, di fare una lunga passeggiata lungo il Tamigi (ammirando da più o meno lontano il
London Eye,
Westminster e il
Big Ben impacchettato per i restauri), di fare un giro alla
Tate Modern (dove hanno aperto un'ala che l'ultima volta non c'era ed è possibile accedere alla terrazza panoramica che offre un altro sguardo dall'alto sulla città). Del nostro giro all'interno delle sale ci colpiscono una specie di torre di radioline a transistor e un'installazione/scultura sospesa fatta con le tende veneziane, e ovviamente l'immancabile shop dove prendiamo un po' di ricordi e regalini.
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Victoria Park |
Il tempo di una breve pausa ristoratrice a casa ed eccoci al Victoria Park per l'
All Points East. Ci studiamo rapidamente il calendario dei concerti dopo esserci scaricate l'app, e deciso il nostro programma, vediamo prima il concerto dei
Phosphorescent sul palco grande (East stage), poi - mangiato un wrap ripieno di agnello - ci spostiamo al palco nord per il concerto di
Ezra Furman.
Mentre al primo concerto siamo piuttosto lontane, nel caso di Ezra siamo vicinissime al palco e possiamo goderci la performance del musicista americano (vestito come una signora borghese negli anni Sessanta, con tanto di collana di perle), che spazia attraverso il suo repertorio più rock (del resto il contesto non è adatto al repertorio più intimo e malinconico), investendoci con la sua rabbia e dolcezza. Concerto secondo me divertente e di grande soddisfazione.
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Ezra Furman |
Appena Ezra Furman termina, corriamo di nuovo verso l'East Stage dove ha da poco cominciato il concerto
John Grant, una specie di mito musicale per me e F., il nome per il quale abbiamo deciso di comprare i biglietti del festival. Non mi sarebbe dispiaciuto ascoltare
Mac De Marco, così come
Bill Ryder-Jones, ma la contemporaneità imponeva scelte anche dolorose. John Grant attinge a piene mani alla sua produzione più recente, che è quella virata all'elettronica che ci piace di meno, ma verso la fine ci premia regalandoci due splendide esecuzioni di
The greatest motherfucker e soprattutto
Queen of Denmark, che personalmente trovo quasi commovente.
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John Grant |
Alla fine del suo concerto, tutti coloro che erano dispersi tra i vari palchi convergono verso l'East stage dove sta per iniziare il concerto di
Bon Iver (al secolo Justin Vernon). Siamo ormai sommersi dalla gente e purtroppo siamo inevitabilmente lontane dal palco, per cui seguiamo le esecuzioni soprattutto dai maxi-schermi. Intorno a noi tantissime persone appassionate - che conoscono le canzoni a memoria - per un signor concerto che dura oltre un'ora e che regala anche un bis.
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Bon Iver |
Per quanto quella del festival non sia la dimensione di live che preferisco (non farei per esempio mai a cambio con un concerto intimo in un piccolo club), non v'è dubbio che i festival sono occasioni per ascoltare dal vivo molti cantanti, anche di nome, senza essere costretti alla dimensione ancora più spersonalizzante degli stadi e similari.
La sera torniamo a casa distrutte ma felici. Il giorno dopo ci attende l'aereo di ritorno per l'Italia, ma Londra ci ha conquistate ancora, cosicché il nostro è solo un arrivederci.
Per una selezione più ampia di foto della gita londinese vedi
qui. Per vedere un po' di foto del festival musicale All Points East clicca
qui.
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