Anche quest'anno non mi lascio scappare l'opportunità di vedere qualcuno dei film presentati al festival di Cannes in anteprima e in lingua originale. Perdo il film vincitore perché la sera che ci posso andare la sala è sold out già dal giorno prima (sebbene poi mi dicano che il cinema abbia deciso di aggiungere un'altra proiezione in una seconda sala), ma nel weekend riesco a invece a vedere tre film, e con grande soddisfazione. In particolare, in tutti e tre ho riconosciuto e apprezzato la componente "politica", in alcuni casi più esplicita, in altri meno evidente, ma sempre molto forte e portatrice di riflessioni per lo spettatore.
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Sorry, we missed you
Quando esco dal cinema dopo aver visto un film di Ken Loach la domanda che mi pongo è sempre la stessa: "Come faremo quando non ci sarà più lui a sbatterci sotto il naso le storture del nostro sistema economico-sociale e a costringerci a riflettere sulla china che abbiamo imboccato?". Per qualcuno i film di Ken Loach tendono a essere un po' ripetitivi; a mio modesto avviso, il grande vecchio del cinema britannico non sbaglia un colpo e riesce ad alzare l'asticella mantenendo il senso della misura.
Questo suo ultimo film ha innanzitutto un titolo bellissimo: Sorry, we missed you è la dicitura che compare sugli avvisi che i corrieri lasciano sulla porta quando non trovano il cliente, ma in fondo è anche l'atto di scuse che la società tutta dovrebbe fare a tante categorie di lavoratori. Il film parla di Ricky Turner (Kris Hitchen) che - dopo aver fatto molti lavori - decide di mettersi "in proprio" accettando un lavoro di consegna pacchi. Ricky vuole cogliere questa opportunità perché intravede in essa la possibilità di mettere da parte i soldi sufficienti per sottoscrivere il mutuo di una casa e smettere di pagare un affitto. Ricky ha una moglie, Abbie (Debbie Honeywood) che fa la badante per un'agenzia di servizi, e due figli, Liza Jane (Katie Proctor) di una decina d'anni, e Seb (Rhys Stone) che ha quindici anni e marina la scuola per andare a fare graffiti sui muri.
Ricky convince la moglie a vendere la sua macchina per comprare un furgone e massimizzare i guadagni, ma ben presto la scelta di questo lavoro, solo apparentemente autonomo ma in realtà governato dai tempi imposti dallo scanner che registra tutti i tempi e tutte le transazioni e i cui rischi sono completamente a carico del lavoratore, si dimostrerà una bomba a orologeria destinata a mandare in frantumi i già precari equilibri familiari. Mentre i due genitori si ammazzano di lavoro rinunciando a qualunque cosa, compreso il tempo insieme e con i loro figli, la presunta prospettiva di un futuro migliore non compensa la solitudine e lo spaesamento dei due ragazzi, la piccola sempre più inquieta e il grande sempre più oppositivo e sfidante.
In un climax di tensione che tira fuori il peggio da persone che con ogni evidenza hanno cuori buoni e intenzioni positive, viene fuori il ritratto di una società che si è svenduta a un'economia disumana che crea solitudine e disperazione, e non fa stare meglio nessuno se non pochissimi.
E Loach non ci dà delle risposte, perché forse non ne ha e perché le cose sono andate talmente oltre che le risposte non sono affatto facili, lasciandoci invece con un grande interrogativo: "Quand'è che ci siamo distratti fino al punto da aver consegnato le nostre vite a un sistema economico così brutale e abbiamo abdicato ai diritti così faticosamente conquistati dai lavoratori?". Forse è il momento di aprire gli occhi di fronte al fatto che il capitalismo finanziario e l'economia digitale hanno trovato il modo di creare nuove e ampie sacche di schiavitù lavorativa anche nei paesi apparentemente civilizzati ed evoluti, dandoci persino l'impressione di avere ancora la possibilità di scegliere e che tutto questo si possa chiamare progresso.
Voto: 4/5
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Alice et le maire
E dopo Ken Loach non poteva esserci migliore seguito di Alice et le maire, il film di Nicolas Pariser che vede protagonisti Fabrice Luchini nei panni di Paul Theraneau, il sindaco di Lyon, e Anaïs Demoustier in quelli di Alice, una giovane letterata/filosofa che lascia il suo lavoro di insegnamento a Oxford per lavorare per il sindaco e il suo Gabinetto.
In forma di commedia - anche piuttosto divertente, come i francesi riescono a fare molto bene - il film di Pariser propone una riflessione raffinata e molto attuale sul rapporto tra politica e filosofia, e anche tra politici e intellettuali, e forse - per dirla in maniera ancora più precisa - tra politica e pensiero di sinistra. Thereneau è un politico con la P maiuscola, uno che alla politica ha dedicato la vita intera ma che ora vive una specie di crisi esistenziale e di carenza di idee incisive per la società, svuotato nella sua carica innovativa e schiacciato tra gli effetti perversi del populismo da una parte e i vetusti meccanismi partitici dall'altra. Alice è giovane e relativamente disillusa sulla politica, com'è proprio della sua generazione, mentre crede molto nell'importanza della riflessione teorica e nella forza delle idee.
Quando Alice arriva al Comune di Lyon si trova catapultata in un ambiente schizofrenico, che è il contrario della riflessione e dello studio, in cui tutti corrono e tutto è urgente. Alice osserva sorniona e decisamente divertita questo mondo, percependo il non-senso dei meccanismi della politica. Poiché è lì per aiutare il sindaco a ritrovare stimoli e idee, parla con Thereneau - di persona o al telefono - nei brevi momenti di pausa tra un impegno e l'altro, in un viaggio in macchina, durante un pranzo di lavoro o la sera prima di andare a dormire (o persino dopo, quando lei è già a dormire ma il sindaco no).
Nel confronto tra queste due persone, molto lontane per esperienza e formazione, ma in realtà accomunate dall'interesse per il futuro della società nella quale viviamo e dell'umanità tutta, emergeranno questioni centrali del dibattito contemporaneo (il significato del progresso, il rapporto col capitalismo, la questione dell'ecologia) e i due protagonisti impareranno la necessaria complementarietà tra politica e filosofia, l'una inevitabilmente destinata a svuotarsi senza i principi morali che informano idee e teorie, l'altra destinata a restare vuota retorica senza un confronto con la complessità del reale e con la quotidianità dell'azione e della presenza.
Alice comprenderà che le convulse giornate del sindaco non sono solo un vezzo elettorale da politico, bensì l'esito dei compiti e delle responsabilità sempre più ampie attribuite alla politica; Theraneau imparerà ad andare al cuore dei problemi mettendo da parte le operazioni di puro marketing politico e i tatticismi partitici. Il discorso mai pronunciato che i due scriveranno insieme è un'assunzione di coraggio sulla necessità di parlare dei veri temi della contemporaneità, come è quello di un sistema economico globale che produce effetti perversi e devastanti sul piano sociale.
È questa la strada per la rinascita di una politica di sinistra che torni a parlare alle persone? Pariser non sembra particolarmente ottimista, raccontando una storia che vira dal potenziale cambiamento a livello sistemico verso un processo di consapevolezza individuale, ma anche di ripiegamento nel privato.
Siamo destinati a non avere alternative a un mondo intellettuale che - come dice Theraneau - di fronte a una questione importante sa al massimo organizzare convegni e a un mondo politico trasformato in un circolo mediatico in cui a fare la differenza sono le strategie di marketing?
Al di là della risposta - che mi inquieta non poco - tanto di cappello al film di Pariser perché c'è ancora speranza se c'è ancora chi riesce a parlare di politica e di idee in questo modo alto e leggero, senza indugiare sul marcio e sul morboso. Grazie.
Voto: 4/5
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Portrait of a lady on fire
L'ultimo film della mia personale selezione della rassegna "Da Cannes a Roma" è quello di Céline Sciamma, regista e sceneggiatrice che seguo dai tempi di Water Lilies e che ho apprezzato particolarmente con Tomboy.
Non si può certo dire che Portrait of a lady on fire sia un film che parla di politica, come per i film di Loach e Pariser, eppure non è sbagliato - come dicono la regista e le attrici in alcune interviste - riconoscerne una componente politica in senso più ampio. Il film - ambientato nel Settecento e interpretato tutto al femminile - parla della condizione femminile, dell'impossibilità di scegliere per la propria vita, della situazione di minorità della donna nelle arti e anche della solidarietà femminile come unico supporto nelle situazioni di difficoltà.
Tutto inizia in un'aula in cui Marianne (Noémie Merlant) sta posando per le sue giovani allieve e impartendo loro degli insegnamenti sul ritratto, quando una delle allieve ritrova un quadro che raffigura una donna parzialmente voltata di spalle con la parte bassa del vestito in fiamme che cammina su una spiaggia di notte. È appunto il ritratto di una donna in fiamme, che riporta alla mente di Marianne in un lungo flusso di ricordi la storia da cui quel quadro è nato.
Diversi anni prima una barca porta Marianne su un'isola dove è stata chiamata da una contessa (Valeria Golino) per farle realizzare un ritratto di sua figlia Héloïse (Adèle Haenel), appena uscita dal convento per sposare un pretendente milanese, dopo la morte (quasi certamente un suicidio) di sua sorella.
Héloïse rifiuta di farsi ritrarre perché non accetta la decisione della madre di farla sposare, cosicché Marianne sarà presentata come una dama di compagnia e dovrà dipingere la giovane donna di notte e facendo affidamento sulla sua capacità di osservazione e di memoria.
L'inganno sarà presto svelato e Marianne, insoddisfatta del risultato ottenuto, chiederà alla contessa una seconda possibilità da portare a termine prima del suo ritorno, dopo qualche giorno di assenza.
In questi pochi giorni, la casa diventa il regno dove le due donne, Marianne e Héloïse, insieme alla domestica Sophie, riscrivono tutte le regole sociali che valgono all'esterno, in una condizione di sospensione dalla realtà eccezionale e irripetibile. In questo spazio di straordinaria libertà, le due donne si avvicinano progressivamente e la tensione tra di loro si trasforma in attrazione amorosa, facendo loro scoprire la gioia dell'amore e della condivisione delle passioni proibite alle donne.
La realtà ripiomberà bruscamente in questo mondo capovolto con il rientro della contessa, che porterà alla partenza di Marianne e ai preparativi per il matrimonio di Héloïse.
In quella che potrebbe apparire come una storia tutto sommato convenzionale Céline Sciamma riesce a infondere un senso di mistero e di magico che passa attraverso la ritrosia, i silenzi e gli sguardi delle due donne e che si svela a poco a poco senza mai sciogliersi completamente.
La sequenza in cui Héloïse e Marianne escono per la prima volta insieme per una passeggiata è un capolavoro "pittorico": Marianne (e la telecamera) segue Héloïse che è di spalle con il capo coperto dal cappuccio della sua mantella fino a quando questo cade scoprendo i capelli biondi raccolti sulla nuca e la giovane donna si gira mostrando il suo volto e i suoi occhi chiari.
In The portrait of a lady on fire c'è - sia dal punto di vista visivo che emotivo - una fortissima impronta artistica, che funziona perfettamente anche e soprattutto grazie al fascino magnetico ed enigmatico di Adèle Haenel e a quel misto di stupore e confusione che attraversa lo sguardo di Noémie Merlant.
Per tutti questi motivi sono perfettamente d'accordo con il commento che ne ha fatto su Instagram Xavier Dolan - anche lui in concorso a Cannes - subito dopo averlo visto.
Voto: 3,5/5
Spero di vedere presto il film di Loach, che come al solito è una fotografia dei nostri tempi. Lo accusano di fare sempre lo stesso film... io dico MENOMALE che c'è qualcuno come lui che, almeno una volta l'anno, ci inchioda alle nostre responabilità
RispondiEliminaAspetto i tuoi commenti allora! Io penso che faccia sempre lo stesso film perché non ci si può permettere di smettere di parlare di questi temi. E comunque secondo me lo fa sempre molto bene e in modo tutto sommato sempre nuovo. Grazie Kris!
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