Il ricco programma delle arene estive romane come ogni anno mi dà la possibilità di recuperare alcuni film che avrei voluto vedere e che invece avevo perso. Così accolgo volentieri l'invito di F. di andare a vedere all'Isola del cinema Ride, il primo lungometraggio di Valerio Mastandrea, per la cui proiezione saranno presenti il regista, la protagonista Chiara Martegiani, nonché Daniele Silvestri, autore della colonna sonora. In realtà la presenza di Daniele Silvestri si giustifica anche perché prima del film viene proiettato sul grande schermo il videoclip della sua canzone Scusate se non piango, la cui regia è ancora una volta di Mastandrea e a cui hanno partecipato molti amici, anche per sostenere la causa dell'Angelo Mai, il centro sociale più volte sgomberato negli ultimi mesi.
Il videoclip è molto divertente, così come lo scambio di battute sul palco tra gli ospiti e i presentatori della serata. Al già folto gruppo si unisce infine Lillo, che è protagonista della coreografia vista nel videoclip e di cui ci offre un saggio dal vivo.
Il film di Mastandrea ci riporta poi invece a un'atmosfera certamente meno allegra e spensierata, sebbene non rinunci a stemperare il dramma con una vena sottilmente ironica e surreale.
La protagonista, Carolina, ha appena perso il marito, Mauro, morto in un incidente sul luogo di lavoro. La attendono funerali pubblici, in cui è prevista anche la presenza della televisione, e si trova a fare i conti da un lato con la gestione interiore del lutto, dall'altro con l'aspettativa sociale in merito. Parallelamente anche il figlio Bruno (Arturo Marchetti) e il suocero (Renato Carpentieri) si confrontano con la perdita e con ciò ch'essa comporta. Ognuno di loro reagisce in maniera diversa e non scontata: Carolina è bloccata, incapace di piangere, assorbita nell'inerzia di una vita che comunque va avanti; Bruno si prepara insieme al compagno di giochi per l'intervista che sicuramente la televisione gli farà il giorno del funerale e ne vuole fare l'occasione per conquistare la ragazzina che gli piace; il padre di Mauro sente la responsabilità dell'eredità lasciata al figlio Mauro (che ne ha seguito le orme in fabbrica) e cerca di sfuggire al senso di colpa inevitabile, che gli sarà rinfacciato dall'altro figlio, quello scapestrato e con cui è in conflitto (Stefano Dionisi).
I tre assi narrativi proseguono parallelamente e in maniera quasi indipendente fino a quando ciascuno di essi giunge allo scioglimento in modo inaspettato, ovvero per effetto di decisioni individuali o fattori esterni.
Il film di Mastandrea è girato bene e può contare su un'idea di fondo molto buona: raccontare la soggettività del dolore e quanto c'è di surreale, assurdo e quasi ridicolo nella sua messinscena sociale e nei rituali collettivi che lo caratterizzano, nonché riconoscere il diritto che ognuno ha di vivere il dolore come si sente senza che questo comporti un giudizio. E da questo punto di vista il film di Mastandrea è sicuramente efficace, e non a caso dà il meglio di sé attraverso le figure di Carolina e di Bruno.
Quando invece la riflessione sul dolore punta ad allargarsi a temi più ampi, e a invadere il campo delle questioni sociali, come nella sottotrama che riguarda il padre di Bruno, la forza emotiva del film scema e i suoi linguaggi fanno fatica a fondersi, creando quasi la sensazione di assistere a film diversi.
La prima prova registica di Mastandrea è dunque certamente coraggiosa nell'affrontare un tema complesso e intimo ma si fa forse troppo ambiziosa e si sfilaccia nel tentativo di inquadrarlo all'interno di questioni più ampie di carattere sociale e relazionale.
Voto: 3/5
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