Ho perso ormai il conto del numero di volte che ho visto e ascoltato Joan as Police Woman (al secolo Joan Wasser) dal vivo. Ogni volta mi dico che potrebbe anche bastare, ma poi Joan mi offre sempre un nuovo motivo per rinnovare l'appuntamento.
Questo ultimo concerto al Monk (una location che, come lei stessa non manca mai di sottolineare, Joan ama visceralmente - è infatti la terza volta in poco tempo che ci torna) è forse uno dei vertici più alti delle sue performance dal vivo, almeno tra quelle a cui ho avuto la fortuna di assistere.
Da poco è uscito il suo doppio album, Joanthology, un'ampia selezione dei suoi successi che offre una panoramica sulla sua ormai vasta produzione, oltre a qualche brano fin qui mai inciso, due dei quali la cantante newyorkese ci propone anche nella performance dal vivo, ossia Kiss and What a world (di quest’ultima dice che sono stati i fans – dopo aver sentito eseguire dal vivo questa canzone – a spingere perché la incidesse e su questo stimolo Joan ha trovato la chiave di lettura giusta per farlo).
Questo tour è dunque sì legato all'uscita di questo album ma è anche l'occasione per proporre un concerto intimo e la versione musicale di sé stessa che io personalmente preferisco: voce sola sul palco accompagnata dai suoi due strumenti più amati, il pianoforte e la chitarra (rosa, in omaggio - come dice lei - al pride tenutosi nel pomeriggio nelle strade di Roma).
Joan sale sul palco poco prima delle 22, vestita con una delle sue tipiche tute eleganti e un paio di scarpe dorate con la zeppa, un abbigliamento che addosso a chiunque altro risulterebbe kitschissimo e invece su di lei riesce a fare un effetto di eleganza, grazie alla disinvoltura e alla classe con cui lei lo porta.
Comincia il concerto seduta al pianoforte a coda (un Alfonsi) e per le prime canzoni si offre ai fotografi (e pure a me che, approfittando di essere seduta in prima fila grazie a F., mi posiziono sotto il palco insieme agli altri fotografi per immortalarla mentre canta e suona il piano). Poi alla quarta canzone, quando si sposta alla chitarra, comincia a interloquire con gli spettatori, com’è solita fare nei suoi concerti. Oggi la cantante sembra particolarmente di buonumore, affettuosa e ironica al tempo stesso, fors’anche grazie all’alchimia perfetta che si crea con questo pubblico, cosa che sarà sempre più evidente nel corso della serata.
Il suo primo messaggio è per i fotografi: dice che a lei piacciono le fotografie e che per queste prime canzoni ha permesso ai fotografi di sfogarsi, anzi si mette in posa appositamente con la sua chitarra e fa finta di cantare per consentire a tutti di scattare ancora qualche foto, ma che, a partire dalla canzone successiva, per potersi concentrare ha bisogno di smettere di sentire i click degli scatti. Tutti – tranne uno che probabilmente non capisce l’inglese e che verrà fulminato dallo sguardo di Joan appena inizia a suonare – mettiamo da parte le nostre macchine fotografiche e lo facciamo volentieri per goderci questo splendido spettacolo.
Joan alterna canzoni eseguite al pianoforte e altre alla chitarra, integrandole al massimo con una base registrata. Ci offre alcuni dei suoi classici, da Flash a Warning bell, da The magic a We don’t own it, da The ride a Your song, da Human condition a Good together, fino a The silence. In alcuni casi – come ad esempio quando ci canta Christobel – dice che ci proporrà una versione da lei riarrangiata al pianoforte, rispetto alla versione classica eseguita alla chitarra, e spera che questa versione non farà arrabbiare un suo amico che ama particolarmente questa canzone.
Prima di cantare Real life ci racconta che questa canzone è stata scritta come una lettera d’amore per qualcuno che lei ha conosciuto e che dopo cinque minuti ha pensato fosse la persona della sua vita, a 600.000 miglia di distanza! E aggiunge che ovviamente non era così, e che in fondo questa è una storia a lieto fine perché per fortuna l’ha capito!
Su Tell me il pubblico inizia a battere le mani simulando la batteria nel ritornello; Joan ne è piacevolmente sorpresa, dice più volte “Amazing” e il feeling positivo della serata cresce talmente tanto che Joan invita persino il pubblico a cantare qualche ritornello o a farle da base.
Stasera abbiamo certamente avuto il privilegio di poter ascoltare un’artista in grande forma, ma il miracolo è dovuto anche alla magia che talvolta la performance dal vivo riesce a creare, trasformando la semplice esecuzione dei brani in un’esperienza che coinvolge non solo il musicista ma anche il pubblico.
Per questo, quando il concerto finisce dopo circa un’ora e mezza di grande musica, Joan non si fa pregare per tornare sul palco di fronte a questo pubblico appassionato e competente, ripagandolo con altre tre canzoni e con un affetto sincero che davvero arriva a ciascuno di noi.
Un’artista generosa che – oltre a confermare le sue indubbie qualità musicali – ci regala uno spettacolo di grande intensità e calore umano, come raramente si vede sui palchi della musica dal vivo.
Grazie, Joan. Alla prossima.
(Qui una galleria di foto su Behance)
Voto: 4,5/5
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