Tra il 14 febbraio e il 21 settembre 1940, proprio negli stessi mesi in cui la Germania invadeva la Francia, Louis Jouvet, celebre attore francese di quegli anni, tenne sette lezioni al Conservatoire di Parigi per la sua allieva Claudia, in merito al monologo di Elvira nel quarto atto del Don Giovanni di Molière. Le lezioni furono trascritte, e nel 1986 Brigitte Jaques le trasformò in un testo teatrale, Elvire Jouvet 40, che è il testo da cui Toni Servillo ha tratto lo spettacolo teatrale Elvira, di cui è regista e interprete, insieme alla brava Petra Valentini.
L'allestimento è molto semplice: una pedana rialzata al centro del palco (un palco nel palco), una radio, una sedia, dei copioni aperti qua e là; giù dal palco una prima fila di sedie dove gli attori appoggiano i loro soprabiti e a volte si siede Servillo/Jouvet mentre dirige i suoi attori. Poi un'altra fila di poltrone coperta da un telo bianco che segna il confine tra il teatro rappresentato e la platea vera, confine che viene talvolta valicato dagli attori che sembrano quasi offrirsi al pubblico.
Le sette lezioni sono intervallate da momenti di buio, fino all'epilogo che - sulla voce di Hitler che parla alla radio - ci fa sapere che Claudia vinse il premio come miglior attrice, ma venne poi allontanata dalle scene perché ebrea, mentre Jouvet partì come volontario per tutta la durata della guerra.
Prima, una articolata riflessione sul mestiere di attore, e non solo; centrale è anche il rapporto tra il maestro e l'allieva, un rapporto non certo rassicurante né in un verso né nell'altro, un rapporto che può arricchire entrambi se l'uno e l'altra si aprono a questa possibilità.
Da un lato Jouvet sprona, incoraggia, sferza, ironizza, fa opera maiuetica, dall'altro Claudia vede sgretolarsi tutte le certezze dei primi tentativi, sente crescere l'insicurezza, ha dei momenti di scoraggiamento e altri di esaltazione, compie un vero e proprio percorso dentro sé stessa, per trovare la parte di sé che risuona - in sintonia o per contrasto - con il personaggio di Elvira e che le consente di scoprirne l'anima e i sentimenti.
Sul palco insieme a Jouvet ed Elvira, gli attori che interpretano Don Giovanni e Sganarello, che fanno da amplificatori e/o contenitori dei pieni e vuoti del rapporto tra Jouvet e Claudia.
Solo a posteriori - come spesso mi accade quando vado a vedere degli spettacoli - leggo recensioni entusiastiche di quest'ultimo lavoro di Servillo, e mi sento un po' ignorante perché io invece ho fatto fatica ad appassionarmi allo spettacolo e sono uscita dal teatro senza entusiasmo, anzi per certi versi quasi infastidita.
Da un lato ho trovato il testo impegnativo, a tratti noioso, a tratti ripetitivo (ma forse è solo che io ero piuttosto stanca), dall'altra quella che tutti osannano come la straordinaria interpretazione di Servillo a me non solo non ha colpito, ma in alcuni momenti è risultata persino fastidiosa nel tono oscillante tra il sarcasmo e la superiorità. In realtà, può essere che questo tema del rapporto tra maestro e allieva con tutte le complessità che si porta dietro mi abbia toccato qualche corda personale parzialmente irrisolta o in questo momento particolarmente sensibile, e dunque il mio giudizio non sia stato effettivamente distaccato e oggettivo.
Resta però che lo spettacolo non è stato un godimento pieno dal mio punto di vista, lasciandomi in conclusione di stagione teatrale con un po' di amaro in bocca.
Voto: 3/5
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