Di passaggio a Bologna prima di partire per la mia vacanza canaria, accolgo molto volentieri l'invito ad andare a vedere la mostra della fotografa Lee Miller in corso fino al 7 giugno prossimo a Palazzo Pallavicini in via San Felice.
Quando arrivo alla mostra, della Miller non so praticamente nulla (né mi ricordo di aver già visto delle sue fotografie nella mostra a Roma Scatti di guerra). Ricordavo solo qualcosa di vago rispetto al fatto che è stata musa, ispiratrice e collaboratrice di Man Ray. Quindi sapevo di dovermi aspettare una mostra sulla fotografia dei primordi e sulle sperimentazioni dei surrealisti, che già avevo avuto modo di conoscere quando avevo visitato la mostra di Man Ray a Conversano.
Stante la mia ignoranza e la mia limitata memoria, la mostra di Palazzo Pallavicini mi consente - grazie alle oltre 100 fotografie esposte e ai tabelloni introduttivi (purtroppo funestati da numerosi refusi!) - di avvicinarmi a questo affascinante, tormentato e multiforme personaggio.
Lee Miller, segnata dal trauma di una violenza sessuale subita durante l'adolescenza, negli anni Venti - grazie alla conoscenza di Condé Nast - divenne una ricercata modella per le più importanti riviste di moda americane.
Ben presto però Lee manifestò il suo carattere irrequieto e insoddisfatto, sempre alla ricerca di sfide e ambienti nuovi, e così alla fine degli anni Venti si trasferì a Parigi per imparare la tecnica fotografica nello studio di Man Ray, arrivando ad aprire un proprio studio fotografico.
A questa fase appartengono le fotografie sperimentali e surrealiste, nonché i ritratti e gli scatti di moda.
Dopo qualche anno, la Miller torna a New York, ma è una breve parentesi, perché grazie al matrimonio con l'uomo d'affari egiziano Aziz Eloui Bey si trasferisce a Il Cairo e comincia a sperimentare la fotografia di reportage, genere che coltiva anche dopo la fine del matrimonio e l'avvicinamento a Roland Penrose, che diventerà il suo secondo marito e con cui viaggerà molto e scatterà anche molto.
Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, Lee Miller persegue caparbiamente l'obiettivo di documentare la guerra diventando corrispondente accreditata presso le truppe americane. Questo consente alla fotografa di essere presente nei momenti cruciali del conflitto e di documentare situazioni molto significative. Di questo periodo è rimasto celebre il suo autoritratto nella vasca da bagno di Hitler.
Dopo la guerra, Lee Miller torna a New York con addosso le ferite e i traumi conseguenti, e a poco a poco si allontana dalla fotografia, rivolgendo progressivamente le sue energie alla cucina, che diventa la sua nuova passione e su cui pure ottiene numerosi riconoscimenti. In quest'ultima parte della sua vita le fotografie si fanno rare e documentano per lo più la presenza di famiglia e amici nella sua casa americana.
Al termine di questo percorso che impressiona - più che per le singole immagini (sebbene ce ne siano alcune particolarmente belle ed emozionanti) - per la varietà, la diversità e l'evoluzione dei suoi interessi e delle sue qualità fotografiche, resta di questa donna bellissima, vissuta al centro degli ambienti artistici europei e americani più significativi dagli anni Venti ai Cinquanta, la percezione di una donna fragile e forte al tempo stesso, tormentata e inquieta, desiderosa in ogni momento di vivere la vita al suo massimo grado, ma forse anche divorata da demoni interni difficili da interpretare.
Resta, su tutto, il segno delle sue fotografie che testimoniano uno sguardo lucido e attento, ma anche originale e obliquo rispetto a un mondo in profonda trasformazione come fu quello della prima metà del Novecento.
Voto: 3/5
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