La presentazione dello spettacolo La mia battaglia nel cartellone del Teatro Ambra Jovinelli è un po' criptico. Lo stesso dicasi per i depliant di promozione. Difficile dire che tipo di spettacolo ci attende, anche se una ricerca in Internet stimolata da un eccesso di curiosità potrebbe rivelare parte del mistero e oggettivamente togliere un po' di fascino a questo spettacolo.
Elio Germano (anche autore del testo insieme a Chiara Lagani) entra nel teatro dagli ingressi alle spalle del pubblico. Con il suo microfono che gli pende dall'orecchio alla bocca e il suo abbigliamento casual sembra un imbonitore pubblico venuto a venderci qualcosa. In realtà la prima parte dello spettacolo, durante la quale Germano non sale sul palco, è finalizzato a conquistare la fiducia del pubblico, a instaurare un dialogo e una vera e propria conversazione con le persone. Non è chiaro persino dove cominci lo spettacolo vero e proprio e fino a che punto le chiacchiere di Germano siano un diversivo ovvero facciano parte dello spettacolo stesso.
In ogni caso, dopo un primo momento di perplessità, il pubblico - tra l'altro lusingato dall'attore che ne elogia la volontà che lo ha portato a venire in teatro e ad abbandonare il divano di casa - si lascia andare a questa "conversazione" e comincia a seguire l'attore nei suoi ragionamenti.
Germano ci parla delle modalità dell'organizzazione sociale, a partire dall'esempio di un gruppo di persone che dopo un naufragio si ritrovi su un'isola deserta nella necessità di sopravvivere; i suoi discorsi risultano in buona parte plausibili e condivisibili e spaziano attraverso numerosi tra i temi all'ordine del giorno del dibattito sociale e politico: le conseguenze dei social network, la disintermediazione, la fine delle competenze, la meritocrazia, i sistemi parlamentari, le elezioni, la democrazia.
Il pubblico applaude, talvolta convinto, talaltra un po' meno, ma in linea di massima si riconosce in un atteggiamento di critica e preoccupazione per lo stato del mondo contemporaneo e la deriva della politica.
Da qui in poi l'attore prende un abbrivio che sarebbe un delitto raccontare e rivelare a chi non ha ancora visto lo spettacolo, e di cui dunque tacerò.
Vi dico solo che il procedere di questo percorso si fa sempre più inquietante, e lo si comprende man mano anche osservando il pubblico intorno a sé e i segnali di imbarazzo e di fastidio che risultano sempre più evidenti. Al termine dello spettacolo anche l'applauso tarda ad arrivare, in una specie di paralisi collettiva, che sconfina quasi nella paura.
Lo spettacolo di Germano e Lagani è una specie di esperimento sociale collettivo che funziona molto bene nel darci la misura dei confini che ci sono tra il discorso pubblico e la manipolazione e dell'ambiguità che può nascondersi dietro parole e ragionamenti apparentemente lineari.
Alla fine dello spettacolo si esce con la sensazione che se da un lato è sempre necessario tenere la guardia alta, dall'altro il rischio del cinismo e del complottismo sono sempre dietro l'angolo, e che dunque in un mondo complesso com'è quello nel quale viviamo possiamo solo cercare continuamente di mantenerci lucidi ed equilibrati, e di non abdicare al buon senso.
Voto: 3,5/5
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