Pare (o almeno così ho letto!) che Julianne Moore, dopo aver visto il film del 2013 di Sebastián Lelio, Gloria, si sia innamorata del personaggio e abbia chiesto al regista di farne un remake di ambientazione americana e contemporanea.
Ed eccoci qua a partecipare di nuovo alla vita di questa donna di mezza età, divorziata da più di dieci anni, con figli ormai grandi e autonomi e che hanno fatto le loro scelte di vita, che ama ballare e vorrebbe trovare qualcuno con cui condividere questa nuova fase della vita. Una donna che con tutta evidenza ama la vita ed è ancora capace di godere appieno di tutte le occasioni che le si presentano, ma deve fare i conti con l'inevitabile malinconia e la solitudine che a volte si affacciano in una fase dell'esistenza in cui i grandi progetti e obiettivi sono stati realizzati e la quotidianità non è più sovraffollata di impegni. È dunque il momento in cui - se non lo si è fatto prima - bisogna imparare soprattutto a godere dei piccoli piaceri e a star bene con sé stessi prima ancora che con gli altri.
Gloria è naturalmente empatica: ci conquista quando balla in pista, quando canta a squarciagola o a mezza bocca alla guida della sua macchina, quando partecipa ai corsi di yoga e a quelli per liberare la risata, quando chiacchiera con le amiche, quando ancora fa il ruolo di mamma e soprattutto quando non smette di cercare e di essere sé stessa.
L'incontro con Arnold (John Turturro), anche lui separato, le farà ritrovare la bellezza di condividere e le darà l'occasione di poter esprimere i propri desideri, anche sessuali, nient'affatto sopiti, come a volte si tende a pensare quando si parla di quell'età della vita.
Purtroppo Arnold, pur nella sua apparenza di galantuomo, si rivelerà profondamente dipendente dalla sua ex moglie e dalle figlie e incapace - per vigliaccheria o altro - di affrontare le situazioni difficili e di essere sincero con Gloria. E per questo Gloria, dopo avergli concesso un paio di occasioni di riscatto, romperà la relazione e si vendicherà a modo suo.
L'immagine finale di Gloria che al matrimonio della figlia di una sua amica rifiuta un invito a ballare, ma scende poi in pista da sola, godendosi il momento e disinteressandosi del mondo circostante, è una specie di dichiarazione di intenti, nonché la dichiarazione più diretta del fatto che non possiamo far dipendere il nostro benessere da nessun'altro se non da noi stessi.
Ovviamente, come sempre accade nei remake, la tentazione del confronto con il precedente è forte, anche se, nel mio caso, dell'originale di Lelio ricordo la sensazione che mi aveva trasmesso, ma non il dettaglio. È evidente che tra la Paulína Garcia nel contesto sudamericano del primo film e la Julianne Moore nella Los Angeles di oggi c'è una grossa distanza e differenza, ma personalmente sono più incline a vedere la continuità tra le due attraverso la rappresentazione - magari con accenti parzialmente diversi - di una fase della vita di una donna che è trasversale ai luoghi e al tempo.
Un film che resta godibile, credibile e tenero al contempo, anche se per chi ha già visto il primo si perde un po' la sorpresa data dall'originalità della trattazione che Lelio ci propone. Forse un remake che ha poco significato per noi, ma molto per un mercato americano ben più autoreferenziale e dove probabilmente i film stranieri trovano uno spazio ridottissimo. E bisogna rendere merito a Julianne Moore di aver portato agli americani questo personaggio.
Voto: 3,5/5
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