Il film di Sara Colangelo (una regista italoamericana che vive a New York) è il remake di un film israeliano del 2014 di Nadav Lapid e racconta la storia di Lisa (Maggie Gyllenhall), una donna di mezza età, sposata e con due figli ormai al liceo, che fa la maestra d'asilo e nel tempo libero segue un corso di poesia per coltivare la sua creatività e trovare nuovi stimoli in una vita ormai piatta, in cui i sogni e le aspirazioni sono stati spazzati via e la frustrazione ha preso il sopravvento.
Un giorno un bimbo della sua classe, Jimmy (Parker Sevak), mentre cammina avanti e indietro compone e recita una poesia (Anna è bella, che diventerà una specie di mantra del film). Il componimento poetico, che rivela il talento inconsapevole del bambino, colpisce moltissimo Lisa e le suscita una rinnovata curiosità, che presto si trasforma in una specie di missione, se non addirittura di ossessione, ossia quella di coltivare e proteggere l'incredibile dono del bambino, cui nessuno sembra dare la giusta importanza.
In un mondo vacuo dove tutti appaiono interessati solo ai bisogni materiali e risucchiati dai loro smartphone e dove il massimo della creatività sembrano essere le foto da postare su Instagram, Lisa intravede in Jimmy una specie di possibilità di riscatto, che vuole essere "sociale", ma in realtà si rivela innanzitutto personale.
Non a caso sulle prime Lisa utilizza le poesie del bambino per "conquistare" il suo insegnante di poesia (Gael García Bernal) e - anche quando decide di raccontare la verità - il bisogno, in fondo tutto suo, di coltivare questa perla di "bellezza" in un mondo che a Lisa sembra brutto e materialista la porta a forzare la volontà degli altri, a manipolare e/o ingannare chi gli sta intorno e persino a "violare" la libertà del bambino. Sarà la "ribellione" del piccolo Jimmy a farle infine aprire gli occhi e a metterla di fronte alla realtà.
È un film strano quello della Colangelo, per molti versi poco realistico e credibile (alcune poesie di Jimmy sono veramente troppo per un bambino di 5 anni) e a tratti un po' rigido e forzato nei passaggi narrativi; eppure tocca un tema molto interessante: la crisi di una donna di mezza età, senza particolari talenti personali ma capace di riconoscere il talento altrui, che coincide con la crisi di una società che nel talento non crede più e che non vede la creatività come un valore.
C'è forse in sottofondo una domanda a mio avviso piuttosto cruciale: ci si può accontentare di una vita e di un contesto sociale nel quale sembra non esserci più spazio per la bellezza dell'arte e per l'eccezionalità individuale? Si può essere felici e soddisfatti anche quando la spinta - personale e collettiva - verso i sogni si esaurisce e ci si ritrova immersi nella trivialità e aridità del quotidiano?
Far acquisire a Jimmy la consapevolezza per poter comunicare quando ha una poesia in mente non è qualcosa che va coltivato almeno quanto insegnare ai bambini a dire quando gli scappa la pipì, anziché farla nel pannetto? E come e quanto è giusto farlo?
Voto: 3/5
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