Un’amica vuole andare a vedere Il ritorno di Mary Poppins (che io non avevo minimamente preso in considerazione nella mia programmazione cinematografica natalizia) e, siccome le devo un favore, ci andiamo – insieme anche a suo nipote – il giorno di Natale.
Avevo visto il film originale moltissimi anni fa e ne conservavo un ricordo vago, da bambina direi; il ricordo di un film che metteva allegria soprattutto grazie alle sue canzoni, tra cui alcune diventate talmente famose (ad esempio Basta un poco di zucchero e Supercalifragilistespiralidoso) da aver attraversato le generazioni.
E ora, a distanza di 50 anni dalla sua uscita, Rob Marshall (regista che ha dimostrato di essere particolarmente a suo agio con i musical) propone sul grande schermo il seguito della storia, Il ritorno di Mary Poppins, che è l’adattamento cinematografico del libro di P. L. Travers Mary Poppins ritorna.
Siamo nel 1930 a Londra, durante la grande depressione, e Michael Banks (Ben Whishaw), uno dei figli della famiglia a suo tempo aiutata da Mary Poppins, è ormai adulto e ha tre figli, Annabel, John e Georgie. Dopo essere rimasto vedovo, Michael si trova ad affrontare la possibile perdita della casa di famiglia, che aveva dato in pegno per un prestito. È qui che entra in scena Mary Poppins (Emily Blunt), che scende dal cielo impigliata a un vecchio aquilone con cui Georgie sta giocando nel prato.
Il seguito è nei suoi tratti essenziali molto simile alla trama del primo film: Mary Poppins non solo aiuta Michael con i suoi figli, ma soprattutto riporta nella famiglia Banks quella speranza e quell’atteggiamento positivo verso la vita che adulti e bambini hanno perso per strada e che, nella filosofia incarnata da Mary Poppins, è l’unico modo possibile per affrontare la vita e i suoi problemi.
Saranno dunque prima i bambini a convincersi che tutto è possibile e che bisogna crederci perché le cose si realizzino, fino a quando anche gli adulti, Michael e sua sorella Jane (Emily Mortimer), si renderanno conto di essere stati sopraffatti dal pessimismo e che invece è necessario cambiare marcia.
Il film scorre a dire il vero un po’ noioso, tra canzoni talvolta non esattamente entusiasmanti, coreografie via via sempre più grandiose, inserti cartoon (l’avventura di Mary e dei bambini nel magico mondo del vaso di porcellana), e dialoghi che oscillano tra lo stucchevole e l’irritante.
Più volte mi sono chiesta se questo film che - pur calcando le orme del primo in maniera quasi pedissequa – tenta in più momenti e situazioni di rendersi più appetibile e più vicino all’immaginario contemporaneo (vedi la coreografia con le biciclette che fanno evoluzioni in quella che sembra una pista da skateboard) possa realmente piacere persino ai bambini, considerato che per noi adulti è risultato emotivamente datato e anacronistico, oltre che tendenzialmente noioso. Personalmente sono propensa a credere che faccia fatica a piacere anche a loro, anche se i risultati al box office parrebbero dimostrare il contrario.
Voto: 2,5/5
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