Avevo puntato questo film di Yvan Attal già da diverse settimane, senza riuscire a vederlo. Poi mi accorgo che è presente nel programma dei film in lingua originale dell’Institut Français Centre Saint Louis e finalmente ci vado. Tra l’altro, in un film come questo - tutto incentrato sulla parola e su come la diversa provenienza etnica, culturale e sociale incida profondamente anche sul suo utilizzo -, la visione in lingua originale non è solo un vezzo snobistico – come a volte potrebbe sembrare – bensì una condizione essenziale per comprenderne il senso (mi taccio del ruffianissimo e inappropriato titolo in italiano).
L’impianto del film è piuttosto classico. Al centro ci sono due personaggi: la giovane matricola di origine algerina della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Paris 2, Neila Salah (Camélia Jordana), e il professor Pierre Mazard (Daniel Auteuil), un provocatore indomito e cinico. I due si incontrano a una prima lezione di retorica in un’aula gremita di studenti e il leggero ritardo di Neila produce la reazione del professore che la attacca e la mette alla berlina di fronte a tutti gli altri studenti. Apparentemente si tratta di un attacco razzista che rapidamente finisce su YouTube e porta il professor Mazard di fronte al Consiglio di disciplina. Per potersi riscattare, prima che il Consiglio emani il suo verdetto, il preside della scuola spinge Mazard a preparare la giovane allieva per il concorso di retorica che ogni anno mette in competizione le università francesi e che la Paris 2 non vince da tempo.
Inizia così un rapporto difficile, e quasi contronatura, in cui sia Neila che il professore sono piuttosto reticenti. Ma nella migliore tradizione pigmalionesca, l’irritante professor Mazard riesce – attraverso una vera e propria pratica maieutica - a trasmettere a Neila la passione per la parola e il contenzioso verbale, trasformando una ragazza emotiva e con le insicurezze tipiche della giovane età in una donna capace di sfidare sé stessa e il mondo, per andare incontro al proprio destino.
Il fatto è che dietro questo rapporto alligna una bugia, ossia il motivo per cui il professor Mazard si è offerto di preparare una ragazza della banlieu per un concorso così importante, e prima o poi professore e allieva dovranno fare i conti con questa bugia e darle un posto e un significato nel loro rapporto.
L’arringa finale di Neila di fronte al Consiglio di disciplina che dovrà giudicare il professor Mazard è una dimostrazione piena non solo del fatto che l'operazione maieutica ha funzionato ma anche del fatto che il rapporto tra queste due persone è passato alla fase adulta; e la scena commuove quasi quanto quella degli studenti che salgono sui tavoli nell’Attimo fuggente.
Nel film di Attal però non c’è solo l’ennesima variante del rapporto tra insegnante e allievo, un topos classico della cinematografia (e non solo) mondiale; c’è anche una riflessione divertita (è pur sempre una commedia), ma profonda sul potere della parola. Non a caso il film comincia - sui titoli di testa - con dei brevi estratti da interviste a grandi intellettuali francesi che della parola hanno fatto un loro segno distintivo (Jacques Brel, Claude Lévi-Strauss, Serge Gainsbourg, Romain Gary) e prosegue andando a sviscerare cosa possono fare le parole e cosa si nasconde dietro di esse.
La tirata provocatoria del professor Mazard a partire dalla lettura de Les fleurs du mal di Baudelaire sulla parola “indignarsi”, ormai un passepartout utilizzato per esprimersi contro qualunque cosa, dal riscaldamento globale all’uso dei leggings, è in qualche modo un richiamo a recuperare e riflettere sul peso delle parole, a non utilizzarle in modo leggero e superficiale, come accade in quest’epoca di esternazioni collettive senza soluzione di continuità.
Il professor Mazard – che è un essere a suo modo abietto, cinico e insopportabile, e forse anche disadattato rispetto al tempo nel quale si trova a vivere – gioca con le parole, le usa come strumento di potere, ma ne conosce anche i significati nascosti, e ne governa il sottotesto. Cosicché la scena di Neila e del professor Mazard che camminano per strada insultandosi reciprocamente è una bellissima metafora del fatto che le parole sono uno strumento di comunicazione complesso le cui sfumature e i cui significati sono infiniti, soprattutto se utilizzate tra persone che hanno sviluppato un’intimità e una conoscenza profonda.
Più o meno tra le righe c’è anche in questo film una storia di riscatto sociale e una riflessione sulla contrapposizione tra città e banlieu e sul fatto che la cultura resta lo strumento più potente di superamento dei confini, strumento che però va utilizzato con consapevolezza per evitare nuove contrapposizioni.
Voto: 3,5/5
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