Nel suo ultimo film Valeria Golino ci racconta la storia di due fratelli, Matteo (Riccardo Scamarcio) ed Ettore (Valerio Mastandrea), che – come spesso accade tra fratelli – non potrebbero essere più diversi nel carattere e nelle scelte di vita.
Matteo vive a Roma in un attico bellissimo, fa il creativo e l’imprenditore, è pieno di soldi, è omosessuale; la sua vita è divisa tra il lavoro, in cui è molto serio ma altrettanto cinico, e un tempo libero occupato dagli amici, dalla cocaina (e non solo), dagli amanti. Ettore, invece, vive ancora nel piccolo paese di provincia dal quale entrambi provengono, insegna alle scuole medie, è sposato e ha un figlio, ma il suo matrimonio è in crisi perché si è innamorato di un’altra donna.
Le loro vite non si incrociano nemmeno per caso fino a quando un giorno Matteo scopre che suo fratello ha delle metastasi al cervello e non gli resta molto da vivere. Decide di non dirgli la verità, ma lo ospita a casa per consentirgli di farsi curare a Roma.
Se il percorso di Ettore è verso la progressiva consapevolezza della propria malattia e della morte che lo attende, quello di Matteo - che è il vero protagonista del film - consisterà nel fare i conti col suo tentativo ininterrotto di anestetizzarsi e di esorcizzare il dolore e la banalità della vita per vivere sempre – anche aiutato dai soldi - in uno stato di artificiale euforia, la stessa che cerca di applicare anche alla vita di suo fratello controllando e manipolando la realtà.
L’esito di questo percorso lo porterà a rendersi conto della propria solitudine affettiva, conseguenza della non accettazione di una vita che non può essere vissuta sempre alla massima intensità e che spesso nasconde la felicità nella banalità del quotidiano, nonché della propria impotenza di fronte al dolore proprio e altrui e alla morte che la ricchezza non può evitare.
Quando Matteo si concederà il lusso della sconfitta sciogliendosi nel pianto, il riavvicinamento a suo fratello potrà dirsi compiuto, così come la risalita dalle ovattate profondità del mare a una superficie della vita in cui si può respirare ma dove si è anche esposti alle incontrollabili intemperie.
Un film ben costruito (a parte la parentesi per me poco credibile e in fondo poco integrata col resto della gita a Madjugorie), ben recitato (e va dato merito a Scamarcio di essere enormemente cresciuto come attore negli anni), e con una bella colonna sonora di Nicola Tescari in cui tra le musiche non originali spicca il leitmotiv di In a manner of speaking, prima nella cover dei Nouvelle Vague (già presente e usata in modo significativo nel film di Zanasi La felicità è un sistema complesso) e poi sui titoli di coda nella versione originale dei Tuxedomoon.
Voto: 3,5/5
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