Lara (Victor Polster) è una ragazza di 15 anni che si è appena trasferita con la sua famiglia (il padre e il suo fratellino Milo) in una nuova città per poter frequentare una importante scuola di danza e per completare il suo percorso medico di transizione.
Dopo gli inibitori della pubertà, la ragazza è ora pronta e assolutamente
decisa a proseguire innanzitutto con la cura ormonale e poi con l’intervento
che le darà un corpo che potrà finalmente sentire come proprio.
Lara infatti è nata in un corpo maschile, ma si sente profondamente donna, e anche noi la riconosciamo come tale fino a quando non ci viene raccontata la sua storia.
In questo delicatissimo e severissimo percorso Lara è amorevolmente accompagnata e sostenuta da suo padre Mathias (Arieh Worthalter), che le è accanto in ogni momento in uno sforzo continuo di non essere troppo invadente ma anche di comprendere gli stati d’animo di sua figlia e le motivazioni che stanno dietro i momenti difficili che attraversa.
Tenero e denso anche il rapporto con il fratellino Milo, da cui la ragazza riceve affetto e calore fisico e di cui si prende cura quasi come una madre (in assenza di una figura materna che non c'è e di cui il film non ci dice nulla).
Il regista, nonché sceneggiatore Lukas Dhont sceglie di sviluppare questa storia tutta intorno agli sguardi: lo sguardo di Lara che si osserva spesso allo specchio, quasi infastidita da un corpo che non riconosce e che la imbarazza, continuamente alla ricerca di qualche segnale di cambiamento che la porti nella direzione sperata; gli sguardi amorevoli di suo padre e di suo fratello che vedono - prima e al di là del suo corpo - una persona che amano; lo sguardo della gente per strada e degli estranei in generale che vedono Lara per quello che è, una ragazza aggraziata nel fiore dell’adolescenza; gli sguardi degli amici, delle compagne di classe e di quelle di danza che non riescono invece a superare una curiosità quasi morbosa; infine gli sguardi di noi spettatori che non ci interroghiamo solo finché rimaniamo estranei.
Il film di Dhont ci chiama in causa e lo fa fin dal titolo dichiarando una verità senza esitazioni: ma poi ci sfida - man mano che la narrazione prosegue - a prendere coscienza che siamo vittime della medesima curiosità morbosa che le amiche di Lara le sbattono in faccia senza alcun rispetto e ci invita a cogliere il modo in cui il nostro sguardo va alla ricerca di quello che in Lara rivela la sua fisicità e la sua natura maschile. Il regista ci costringe dunque a fare i conti con i nostri stessi schemi mentali, quelli che ci tranquillizzano nel momento in cui ci consentono di collocare ogni cosa al suo posto, di classificare e categorizzare. Un errore nel quale cade persino il padre della ragazza quando le chiede se c’è un compagno di scuola che le piace, e lei le risponde di no e che comunque non sa nemmeno se è attratta dai ragazzi o dalle ragazze, e forse non è nemmeno tanto importante.
Non è questo infatti il tarlo esasperante che Lara cova per l’intero film e che sembra combattere con allenamenti di danza sempre più massacranti, bensì l’urgenza di non doversi giustificare di fronte a nessuno - oltre che di fronte a sé stessa - per un corpo che non le appartiene.
Un film di straordinario impatto emotivo. Cinematograficamente bellissimo.
Voto: 4/5
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