L'ultimo film di Gus Van Sant ha alle spalle una vicenda di realizzazione piuttosto lunga e travagliata.
Don't worry è la storia vera di John Callahan, da lui stesso affidata a un libro autobiografico pubblicato prima della sua morte avvenuta nel 2010. La proposta della trasposizione cinematografica era stata fatta a Van Sant da Robin Williams, che si era fatto conquistare dalla storia di Callahan ed era desideroso di portarla sul grande schermo, fors'anche per una parziale identificazione con la vita di questo personaggio diviso tra un immenso dolore e uno straordinario umorismo riversato nella sua attività di vignettista.
Poi la morte di Williams nel 2014 interruppe il progetto e cambiò le carte in tavola.
Gus Van Sant ci è poi ritornato su, decidendo di concentrarsi in particolare sull'alcolismo di Callahan, quello che l'aveva portato sulla sedia a rotelle, e scegliendo Joaquin Phoenix per interpretare il personaggio principale. La storia di Callahan diventa dunque l'occasione per raccontare un faticoso processo di acquisizione di consapevolezza e in qualche modo di redenzione.
John Callahan, originario di un paesino dell'Oregon, era un alcolista incallito fin dall'adolescenza: una sera, un amico con cui andava in giro per feste, completamente sbronzo come lui, si addormentò al volante provocando un tremendo incidente che costrinse Callahan su una sedia a rotelle a vita.
Questa "disgrazia" fu però l'inizio di una nuova vita, anche grazie a un gruppo autogestito di alcolisti anonimi, guidato da Donnie (Jonah Hill), un gay ricchissimo e molto new age, nonché alla vicinanza e all'amore di una donna, Annu (Rooney Mara). Callahan dovette fare i conti con sé stesso e le proprie scelte, e trovò nel disegno di vignette umoristiche un nuovo senso alla sua vita e un'occasione di riscatto.
Joaquin Pheonix è molto bravo nell'interpretare questo personaggio, non certo monodimensionale, in maniera complessa e sfaccettata evitando di farne un santino, rischio che inevitabilmente una storia di questo genere avrebbe potuto portare con sé. A questo tentativo di aggiungere originalità e spessore contribuiscono anche alcuni personaggi che ruotano intorno a Callahan, tra cui il già citato Donnie con il suo strano universo teologico autocostruito in cui compare anche Chucky.
Nonostante l'ottima prova attoriale e le qualità registiche di Van Sant che articola la vicenda intrecciando sapientemente piani temporali diversi, il film resta un po' convenzionale nella sua retorica - molto americana ma non solo - di una vita apparentemente rovinata da un evento tragico e invece ricostruita, nonostante tutto, su basi nuove e più solide verso quanto di più vicino a una vita felice si possa concepire.
Un film che prende durante la visione, ma che temo scivoli addosso piuttosto in fretta una volta usciti dalla sala cinematografica.
Voto: 3/5
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