Un film che è un tripudio di bellezza che quasi si fa fatica a descriverla.
Bellezza dei paesaggi naturali e urbani, fotografati in modo impeccabile e poetico da Emmanuel Lubezki. Bellezza degli ambienti e degli oggetti: case meravigliose da rivista patinata, abiti di alta moda, jet privati e macchine di lusso. Bellezza degli attori, innanzitutto i protagonisti, il quartetto d'assi formato da Michael Fassbender, Ryan Gosling, Rooney Mara e Natalie Portman, nonché i comprimari tra cui Cate Blanchett e Berenice Marlohe. Bellezza dei camei di Patti Smith soprattutto (che ha anche un ruolo chiave nella trama) e di Iggy Pop. Bellezza della colonna sonora, scelta con un attenzione al dettaglio quasi maniacale e totalmente integrata nel film. Bellezza dei luoghi e delle ambientazioni, dagli Stati Uniti urbani e rurali al Messico. Bellezza delle inquadrature in cui il grandangolo la fa da padrone anche quando la telecamera sta vicinissima al soggetto umano. Bellezza delle interazioni, delle parole e dei pensieri che si mescolano in un montaggio discontinuo che illumina i protagonisti in sequenze da pochi minuti non necessariamente ordinate cronologicamente, ubriacando e disorientando lo spettatore.
Eppure, dopo tutta questa bellezza da rimanere a bocca aperta, non posso dire che il film mi sia piaciuto.
Malick usa questa ubriacatura di bellezza per raccontare il vuoto morale dello showbiz che ruota intorno al mondo della musica, del quale il manovratore nel film è Cook (Michael Fassbender), un impresario senza scrupoli e manipolatore, totalmente immerso nel mondo delle apparenze e alla ricerca di esperienze sempre nuove che spesso comportano la distruzione della vita di altri. Intorno a lui ruotano Faye (Rooney Mara), entrata in questo mondo da piccola al seguito di Cook e sedotta dalle possibilità e dall'esperienzialità senza fine che lo caratterizzano, BV (Ryan Gosling), un aspirante musicista di buoni principi che si innamora di Faye, Rhonda (Natalie Portman), una cameriera che Cook sposa portandola poi all'autodistruzione.
La bellezza e la ricchezza seducono tutti intrappolandoli in vite ed esperienze superficiali e alla fine poco soddisfacenti, ma l'amore di BV per Faye aprirà la strada per un ritorno a sentimenti più sinceri e a una vita più semplice ma non meno piena di bellezza.
Se questo è il senso del film - ma può essere che io non abbia capito qualcosa essendo una persona intellettualmente semplice - a me sembra un po' pochino per giustificare una confezione così pretenziosamente intellettualistica che sfocia in un manierismo che - ripeto - è visivamente e cinematograficamente più che godibile, ma sinceramente non molto più di questo.
A me alla fine Song to song fa l'effetto "film americano di regista americano intellettuale e un po' moralista" in cui - come in The tree of life - a partire da suggestioni autobiografiche (Malick ha anche fatto l'operaio presso i pozzi di petrolio!) - si propongono riflessioni filosofiche sul senso della vita, sulla ricerca della felicità, sulle contraddizioni dei nostri bisogni.
Io però di fronte questo mix tra un documentario del National Geographic, un reportage di viaggio da rivista patinata e un allegato video a un numero di Vogue America faccio fatica a empatizzare; sicuramente non sono all'altezza di comprendere intellettualmente i riferimenti intellettuali ma mi aspetto che un film come questo - toccando corde emotive oltre che intellettuali - dica qualcosa di importante a tutti. E con me non l'ha fatto.
Voto: 3/5
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