Il film di Alessandro Aronadio è secondo me uno di quei film di nicchia destinati a diventare un piccolo cult.
Orecchie racconta una giornata della vita del protagonista (un bravissimo Daniele Parisi, che a tratti mi ha ricordato Mastandrea), dal momento in cui si sveglia, con un fastidioso fischio all'orecchio, a casa della sua fidanzata Alice (Silvia D'Amico) fino alla partecipazione al funerale del presunto amico Luigi.
Nel mezzo una serie di incontri ai limiti del surreale: le due suore che gli suonano il campanello per parlargli della Bibbia, la vicina di casa che gli vuole mostrare le foto del defunto marito, la receptionist del Pronto soccorso che non smette un attimo di chattare al cellulare, il ragazzino rapper a cui dà lezioni private, i due folli medici che lo visitano, il colloquio di lavoro con la direttrice di un giornale, l'incontro con la madre e il suo nuovo compagno performer, la visita a casa di un suo vecchio professore e di sua moglie, infine la chiacchierata con il prete che celebrerà il funerale di Luigi. Tra questi personaggi molti volti noti del cinema tra cui Pamela Villoresi, Massimo Wertmuller, Milena Vukotich, Piera degli Esposti, Ivan Franek, Rocco Papaleo.
Il tutto in un bianco e nero bello e poetico che, attraverso le lunghe passeggiate del protagonista, ci fa riscoprire non solo la Roma del centro e i suoi vicoli, ma anche le periferie, i palazzi e la street art.
E poi prestate attenzione a quello che accade sullo schermo, dove il formato del girato inizia dal verticale, poi diventa quadrato (difficilissimo e bellissimo) e finisce gradualmente in un più tradizionale 4:3, senza che questo provochi nello spettatore il minimo senso di straniamento e di discontinuità grazie al sapiente uso della composizione dell'immagine, sempre studiata in relazione al formato.
Parallelamente a questo ampliamento degli orizzonti di visione si compie il percorso del protagonista, un antieroe, insegnante supplente mite e un po' sfigato e forse anche un po' depresso e al contempo narcisista, certamente deluso dalla vita e dalle persone che sono - entrambe - molto lontane da quello a cui aspirerebbe e su cui non vuole scendere a compromessi. Un percorso volutamente sopra le righe alla scoperta della follia del mondo e della sua incomprensibilità per tornare infine a se stessi e comprendere che la radice della propria insoddisfazione sta nell'incapacità di accettare e un po' anche di rassegnarsi, nel rifiuto di condividere una superficialità che talvolta è anche leggerezza, nel cinismo che impedisce di fare delle scelte e anche di rischiare, con l'esito di ritrovarsi soli in questa che è l'unica vita che ci è stata data.
Un film, quello di Aronadio, tutto giocato su una cifra ironica che diventa a tratti esilarante, a volte amara, e che ricorda a livello di sensazione il cinema di Ciprì e Maresco. Una commedia in fondo a lieto fine, ma il cui messaggio non riesce a essere del tutto confortante.
Un invito a riflettere su noi stessi quando ci muoviamo sul fragile crinale che sta tra l'esercizio dello spirito critico e l'essere disadattati, tra una felicità superficiale e una tristezza profonda, tra la difesa della nostra identità e l'incapacità di esprimere e condividere le nostre emozioni.
Come non riconoscersi nel disagio esistenziale, nel male di vivere, nel senso di inadeguatezza e al contempo di superiorità del personaggio interpretato da Daniele Parisi?
Voto: 4/5
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