Paul Verhoeven è un regista decisamente poliedrico. Nella sua filmografia ci sono infatti film come Basic instinct, ma anche Atto di forza, Robocop, Starship Troopers e L'uomo senza ombra.
Ora, dopo diversi anni di assenza, torna al grande schermo con questo thriller psicologico, in cui sono ben riconoscibili alcune tracce del suo stile (in particolare un mix di morbosità, voyeurismo e indugio sul dettaglio disturbante), ma che certamente rappresenta qualcosa di nuovo rispetto alla sua produzione precedente.
Il film tra l'altro è ambientato in Francia e interpretato in francese da attori francesi; il che vuol dire che siamo lontani da quella Hollywood che pure ha fatto la fortuna del regista.
La protagonista del film è Michèle (una Isabelle Huppert sempre particolarmente a suo agio con questo tipo di personaggi), una donna che vive da sola in una grande casa, anzi meglio sarebbe dire una villa, nella periferia residenziale di una città francese, dirige una casa di produzione di videogiochi lei che proviene dal mondo dell'editoria, ha un ex marito che ancora frequenta e boicotta nei suoi tentativi di ricostruirsi una vita, un figlio caratterialmente debole che lei disprezza e che da poco è andato via di casa per stare con la sua fidanzata dominante, e un amante, per il quale non ha alcuna affezione e che per di più è anche il marito della sua migliore amica.
Michèle ha un passato e una famiglia d'origine che per tutta la vita ha cercato di rimuovere: suo padre è un mostro, un assassino che - quando lei aveva circa 10 anni - ha fatto una strage nel quartiere dove vivevano per motivi imprecisati ed è ora all'ergastolo, mentre sua madre cerca sollievo nel botox e nei giovani amanti.
La progressiva rivelazione di questo incredibile personaggio inizia quando un giorno Michèle viene aggredita in casa e stuprata da uno sconosciuto mascherato, e decide di non denunciare il fatto alla polizia - di cui non si fida - e di provare a capire da sola la verità.
Quello di Michèle è un personaggio che va oltre il borderline: incapace di provare sentimenti ed emozioni per chicchessia, dai suoi consanguinei ai suoi amanti ai suoi amici, è spietata verso tutti coloro che la circondano e non ha alcun interesse per loro e per il loro benessere, ma cospira per mantenerli dipendenti da sé, salvo scaricarli brutalmente quando non ne può più. Michèle ha un'attrazione profonda verso la violenza e la brutalità, di cui si fa partecipe per quanto in maniera in qualche modo asettica.
La sua sgradevolezza, il suo egoismo, la sua anaffettività, la sua totale mancanza di cognizione del bene e del male e di consapevolezza di un trauma mai risolto non scalfiscono, anzi paradossalmente rafforzano la sua attrattività e il fascino che esercita su chiunque ne incroci il percorso.
Michèle è una specie di lampada accesa in mezzo a una stanza da cui le falene sono inevitabilmente attratte e cui tornano anche quando ne comprendono la pericolosità. È un detonatore di tutti le pulsioni più basse dell'animo umano, la possibilità per ognuno di esprimere la parte peggiore di sé o quella meno socialmente accettabile, o ancora la propria inadeguatezza.
Elle non si caratterizza per verosimilità e realismo (e anzi a più riprese risulta troppo poco credibile, quasi ridicolo, e troppo in bilico tra dramma e commedia), però certamente funziona nel tratteggiare un quadro a tinte fosche dell'umanità, in cui attraverso un personaggio totalmente privo di moralità si mettono spaventosamente a nudo le meschinità, le piccolezze, l'assenza di moralità e di umanità, la brutalità, la banalità, la fragilità, la stupidità di tutti gli altri, quelli presuntamente normali.
Voto: 3/5
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