Un uomo solo / Christopher Isherwood. Milano: Adelphi, 2009.
Non so se ho completamente toppato il momento per leggere questo romanzo. Ce lo avevo sullo scaffale dei libri da leggere da un po' e lo avevo comprato per due motivi: innanzitutto perché mi era piaciuto moltissimo il film di Tom Ford ispirato al romanzo, in secondo luogo perché alcune persone me ne avevano parlato benissimo.
Quando ho aperto il libro alla prima pagina mi sono detta che ne sarei stata conquistata. L'inizio del romanzo è folgorante e ci fa entrare immediatamente nel mood del suo protagonista, il professor George Falconer.
George insegna letteratura inglese a Los Angeles. Siamo nel 1961: sullo sfondo gli eventi politici e sociali legati alla vicenda della Baia dei Porci. Ma Isherwood si concentra sul racconto di una normale giornata nella vita di George, dal momento in cui si sveglia a quello in cui va a dormire. Nel mezzo la lezione all'università, l'incontro con l'amica Charlotte, la visita in ospedale a un'amica malata terminale, la cena, la sbronza, il bagno nell'oceano con lo studente Kenny. E soprattutto la solitudine, quella che non ha niente a che vedere con ciò che facciamo e con quante persone incontriamo, ma ha a che fare con una specie di sensazione di ineluttabilità, con l'impossibilità di superare una perdita (che nel caso di George è quella di Jim, il suo compagno morto in un incidente stradale) e, al contempo, con una potente voglia di vivere.
Personalmente ho attraversato queste pagine in maniera parzialmente indifferente e sentendomene partecipe solo a tratti. Ho apprezzato enormemente la scrittura di Isherwood, nella sua laconicità e ruvidezza, ma anche nella sua ironia e delicatezza; ma il "cuore in inverno" di George non ha risuonato col mio, che pure in questo momento vive una fase parzialmente inerziale come esito della lotta tra tristezza e vitalità.
Quando mi succede così nella lettura dei libri mi spiace sempre molto, perché so di aver incontrato un testo importante, ma io per qualche motivo non mi sono fatta attraversare.
È la sensazione di un dialogo mancato, di un'omissione, di un'azione abortita che mi lascia inevitabilmente una sensazione di amaro in bocca.
Voto: 3/5
Anch'io ho letto il libro dopo aver visto il bellissimo film di Ford. E devo dire che ha mantenuto le promesse, anche se capisco bene quello che vuoi dire: l'empatia con un libro o con un film è legata non solo alla nostra personalità ma anche al momento che si sta passando... oggi non ti ha preso (per ragioni magari personali, o inconsce) magari domani, con uno stato d'animo diverso, potrebbe piacerti di più. Il romanzo tra l'altro è anche molto più duro rispetto al film, e quindi l'empatia conta parecchio.
RispondiEliminaSì, hai proprio ragione... Magari in un altro momento proverò a rileggerlo per vedere che effetto mi fa! Grazie
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