Le nostre anime di notte / Kent Haruf; trad. di Fabio Cremonesi. Milano: Enne Enne Editore, 2017.
Eccoci finalmente di nuovo a Holt, lì da qualche parte tra le case e le fattorie di un paesino americano in mezzo al nulla delle praterie. Ci era mancato questo mondo così lontano geograficamente e culturalmente, eppure così vicino emotivamente, al punto tale che quando ci torniamo sembra di essere tornati a casa, con tutto quel groviglio di sentimenti che ciò comporta.
Ci era mancata la scrittura sottotraccia, quasi sussurrata eppure incredibilmente diretta, di Kent Haruf, così come la totale mancanza di epicità del mondo che ci racconta, la delicatezza infinita delle sue piccole storie intrise di quel sapore agrodolce che è proprio della vita.
In Le nostre anime di notte Haruf ci racconta di Addie e Louis. Due anziani, che abitano non lontano l’una dall’altro, entrambi vedovi, entrambi soli e in fondo senza alcuna prospettiva nella vita se non quella di trascorrere serenamente gli anni che gli rimangono.
E invece un giorno Addie ha un guizzo inaspettato: va dal suo vicino di casa e gli propone di trascorrere le notti future insieme, per sentirsi meno soli, per parlare, per condividere i propri pensieri e un po’ di calore umano.
Comincia così un rapporto che sfugge a qualunque categorizzazione, e che non ha alcun interesse a essere definito, ma che inevitabilmente suscita le reazioni, in parte scandalizzate, in parte invidiose, degli abitanti del paese nonché delle rispettive famiglie.
Haruf ci racconta con i suoi tenui acquerelli un percorso di rinascita, di espansione, di speranza: l’inatteso che in qualunque momento nella vita può portarci fuori dai binari previsti. Ma quando ormai il cuore ha preso l’abbrivio, ci respinge indietro a fare i conti con tutto il resto.
Nella vita di Addie e Louis c’è una sorta di rassegnazione al fatto che le cose non vanno quasi mai come avremmo voluto, ma che questo non rappresenta una sconfitta, un fallimento, bensì il risultato di un processo di adattamento attraverso il quale ognuno di noi insegue il compromesso migliore possibile nelle diverse circostanze. Però c’è anche l’urgenza di un’incoscienza che a volte è l’unica cosa capace di regalarci prospettive nuove, anche se per un periodo limitato.
Bello anche il gioco metaletterario con cui Haruf fa parlare i suoi personaggi di quei romanzi ambientati nella cittadina di Holt e che qualcuno sta portando in scena, le cui storie appaiono a loro così improbabili. Forse a dirci che la vita di tutti in fondo potrebbe essere il soggetto di un romanzo, solo che noi in quanto protagonisti non ne siamo consapevoli, perché le nostre vite dall’interno ci appaiono ordinarie e banali.
E probabilmente è questo che Haruf in fondo vuole comunicarci. Che la vita – anche la più banale – è a suo modo straordinaria, perché ogni vita richiede un incredibile forza nell’essere vissuta attraverso le scelte che ci impone di fare e quella che altrettanto inevitabilmente ci richiede di accettare.
In definitiva, Le nostre anime di notte è un perfetto epilogo della trilogia della pianura e della vita di Haruf, forse meno equilibrato e meditato dei romanzi precedenti, ma certamente altrettanto sincero nella contraddittorietà dei sentimenti che rappresenta e suscita.
Voto: 3,5/5
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