456 è uno dei tre testi teatrali (insieme a Qui e ora e a Migliore) di Mattia Torre che quest'anno sono stati portati in scena al Teatro Ambra Jovinelli.
Lo spettacolo è ambientato nella cucina di una casa di un fantomatico Sud, che potrebbe far pensare alla Calabria, anche se il dialetto - pur con una sonorità calabrese - è un'invenzione che all'inizio e a tratti si fa quasi fatica a seguire.
La storia è quella di una famiglia formata dal padre Ovidio (Massimo De Lorenzo), autoritario e un po' manesco, che attende con ansia l'arrivo del funzionario (comunale?) che coronerà il suo sogno, la madre Maria Guglielma (Cristina Pellegrino) che ha come principale focalizzazione la cucina ed è ossessionata dal recupero di una tiella che è rimasta ("rubata") a casa della moglie del funzionario in occasione di un funerale, il figlio Ginesio (Carlo De Ruggieri), che ha 19 anni ma sempre che ne abbia 50 e che ha fatto il voto di smettere di fumare ma per questo è continuamente nervoso.
Le dinamiche familiari sono a dir poco disfunzionali all'interno di una cornice di aggressività, che però la grande capacità di scrittura di Mattia Torre rende al contempo genuinamente comiche e profondamente inquietanti.
Il tutto avviene in un'atmosfera cupa nella quale le luci sono basse e illuminano talvolta solo i singoli, e spesso protagonista è il "sugo perpetuo", quello che sta sul fuoco da quattro anni e viene costantemente rinnovato. Un mondo isolato e chiuso in una vallata rispetto alla quale quello che c'è al di fuori appare non solo lontano, ma anche esotico o pericoloso a seconda dei punti di vista.
E così tra triangolazioni varie tra i personaggi, cui si aggiunge a un certo punto il funzionario comunale che vuole diventare prete perché è ossessionato dal pagamento delle tasse, si giunge al sorprendente, cupissimo e inevitabile finale di cui non rivelerò niente per non togliere la sorpresa ai futuri spettatori.
Il risultato è - come sempre con Mattia Torre - interessante, ma - sarà che era una serata in cui la tristezza e l'umor nero me li portavo da casa in abbondanza - sono uscita dal teatro più cupa di quanto fossi entrata.
Uno spaccato immaginifico ed esasperato - ma non troppo - del nostro paese nelle sue realtà più periferiche e isolate, che ci fa riflettere su quanto le culture del passato continuino a informare le dinamiche del presente.
Voto: 3,5/5
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