Erano almeno due anni che lisciavo l'appuntamento con il Teatro dell'Opera alle Terme di Caracalla per i motivi più vari e non sempre piacevoli, tanto che avevo cominciato a pensare che questo appuntamento portasse un po' sfiga.
Così, per esorcizzare questo trend negativo, ho subito accolto l'invito di L. e F. di andare con loro a vedere Il barbiere di Siviglia. E questa volta - senza alcun contrattempo - mi sono ritrovata davanti all'ingresso delle Terme con una bellissima luna quasi piena nel cielo e i colori del tramonto a illuminare le rovine romane.
C'è tantissima gente, e soprattutto moltissimi stranieri. Il mio amico E. mi ha avvisata che si tratta di un allestimento molto moderno che non è piaciuto a molti.
E qualcosa si capisce subito, visto che la scenografia sul palco riproduce delle pellicole cinematografiche e al termine di quello che sembra una specie di prologo - che inizia con un gruppo di persone vestite da antichi romani e finisce con dei gendarmi - nella parte posteriore del palco vengono montate le lettere che formano la parola Hollywood.
Come ho ricordato più volte nel mio blog, sul fronte musicale sono aperta alle esperienze più diverse, ma mi mancano decisamente le basi, e quando ci si sposta nel reame della musica lirica e classica mi sento totalmente ignorante.
Quindi, è evidente che io non sono certamente la persona più adatta a dare un giudizio sull'allestimento de Il barbiere di Siviglia che ci viene proposto dal direttore franco-canadese Yves Abel.
Nella mia lettura totalmente priva di basi conoscitive della musica lirica, questa versione dell'opera di Rossini si caratterizza per una serie di elementi che la allontanano dalla tradizione: uno spostamento temporale che colloca la vicenda negli anni Venti-Trenta (con tanto di costumi e di personaggi propri del cinema di quegli anni), un'attenzione preminente sulle scene collettive piuttosto che sulle interpretazioni individuali, una coreografia frizzante in cui il ballo ha un ruolo centrale, una scenografia di grande impatto che non solo utilizza le quinte naturali delle Terme di Caracalla, ma porta sul palco oggetti sovradimensionati (una grande gabbia nella quale è rinchiusa la povera Rosina, un enorme barber pole, una divano che fa sembrare le persone che ci si siedono delle bambole).
In pratica, Yves Abel rilegge Il barbiere di Siviglia come fosse un musical o un film degli anni Trenta (le atmosfere richiamate anche da Hazanavicius in The artist). Ne risulta sacrificato - come mi fanno notare le mie amiche certamente più esperte di me - l'aspetto musicale, giacché i solisti sono quasi inghiottiti nella folla che per gran parte del tempo popola il palco e non c'è spazio per virtuosismi e performance canore di rilievo.
Nonostante la stanchezza cronica che mi porto dietro e che - devo ammetterlo - ogni tanto mi fa socchiudere gli occhi, sono abbastanza convinta del fatto che una messa in scena tradizionale mi avrebbe dato il colpo di grazia, mentre il mix tra la verve della musica rossiniana e la giocosità colorata e frizzante dell'allestimento riescono a farmi godere lo spettacolo fino alla fine.
Al termine di questa fragorosa cavalcata, organizzata in un atto unico, le luci si spengono e il pubblico si riversa fuori. Nessuno dei cantanti esce a salutare ed è un po' tutto un fuggi fuggi. Io, L., F. e G. restiamo un po' perplessi e pensiamo che evidentemente lo spettacolo non deve essere piaciuto molto.
Ma a me, che sono totalmente ignorante, alla fine non è dispiaciuto e anzi in qualche modo è sembrato molto adatto al contesto un po' magico e un po' surreale delle mastodontiche terme romane nel quale è stato rappresentato.
Voto: 3/5
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