Avevo preso il biglietto per il concerto dei Blonde Redhead quando avevo visto che nel tour estivo di quest'anno proponevano in versione integrale il loro album più famoso, Misery is a butterfly, un lavoro che a suo tempo avevo ascoltato parecchio.
Poi quando mio nipote ha deciso di venire a Roma proprio negli stessi giorni ho preso il biglietto anche per lui, pur sapendo che mi avrebbe detto (come infatti è successo): "E chi sono i Blonde Redhead?".
Ho pensato però che tutto sommato già solo la location nella cavea dell'Auditorium (lì dove si svolgono i concerti estivi della rassegna Luglio suona bene) poteva valere la pena anche per lui.
Arriviamo al concerto dopo aver mangiato un ottimo kebab e ci posizioniamo nei posti centrali in tribuna; in realtà la cavea è piena solo per un terzo circa, e le ali laterali sia della platea che della tribuna sono quasi vuote.
Il concerto inizia puntualissimo: salgono sul palco prima i musicisti dell'ensemble di archi (sei in tutto tra violini, viola e violoncello), poi i tre componenti del gruppo Kazu Makino (voce, tastiere e chitarra elettrica), e i due gemelli Simone (batteria) e Amedeo Pace (voce e chitarra).
Il palco è allestito con una gigantografia che riproduce la copertina del disco e, senza preliminari, i Blonde Redhead cominciano a suonare in religioso ordine le canzoni del CD una dopo l'altra. All'inizio l'atmosfera è piuttosto fredda, anche perché i musicisti sono molto avari di parole verso il pubblico e anche l'atmosfera della cavea, in cui tutti sono rigidamente seduti ai propri posti, non aiuta.
Man mano però che le esecuzioni vanno avanti il pubblico comincia a dare segni di approvazione crescente e a partecipare in maniera via via più affettuosa, cosicché quando dopo gli 11 brani dell'album i Blonde Redhead e gli altri musicisti lasciano il palco, il pubblico li richiama a gran voce per un bis, che viene prontamente concesso, mentre Kazu diventa un pochino più loquace e finalmente interagisce un po' con il pubblico.
Alla fine del bis, il pubblico ancora non ne ha abbastanza e non vuole andare via con l'amaro in bocca, cosicché di nuovo richiama il gruppo che questa volta suona da solo (senza l'accompagnamento degli archi) una canzone molto ballabile che fa alzare quasi tutti e affollare il pubblico sotto il palco.
Un concerto raffinato e qualitativamente alto, ma non pienamente coinvolgente. Probabilmente, anche le sonorità e il tipo di arrangiamenti musicali che a suo tempo avevano fatto di Misery is a butterfly un piccolo cult in certi ambienti musicali oggi risultano meno originali e meno emotivamente speciali.
Resta il fatto che c'è sempre un buon motivo per andare a un concerto, e non ci si pente mai - o quasi mai - di ascoltare dal vivo dei bravi musicisti.
Voto: 3/5
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