Dal 19 maggio al 28 agosto è in corso al Palazzo delle Esposizioni una mostra dedicata a uno dei più grandi fotografi italiani viventi, Gianni Berengo Gardin. E io non potevo assolutamente perderla (dopo aver già visto a suo tempo la mostra parallela dedicata a Berengo Gardin e Erwitt all'Auditorium).
La mostra, che ha come sottotitolo "Vera fotografia". Reportage, immagini, incontri, occupa la parte principale del primo piano del Palazzo. Per essere precisi si sviluppa nelle sei sale che si aprono intorno all'atrio centrale, dove sono posizionate delle bacheche che contengono alcuni dei numerosi libri fotografici realizzati da Berengo Gardin.
Le sei sale sono dedicate a temi e filoni dell'opera del fotografo, e nello specifico a Venezia, Milano, Il mondo del lavoro, Manicomi, Zingari, La protesta, Il racconto dell’Italia, Ritratti, Figure in primo piano, La casa e il mondo, Dai paesaggi alle Grandi Navi, in una costruzione circolare che inizia e finisce con la città di Venezia, luogo di elezione del fotografo. In alcuni di questi temi riecheggiano gli oggetti di indagine di famosi reportage realizzati nel tempo da Berengo Gardin, ad esempio quello sui manicomi italiani insieme a Basaglia, che diede poi vita al libro Morire di classe, fino ad arrivare al recente lavoro sulle grandi navi a Venezia.
Ogni sala è poi arricchita da alcune stampe di grande dimensione, scelte all'interno della produzione sterminata del fotografo, da amici, colleghi e intellettuali di varia provenienza e da questi commentate portando il proprio punto di vista all'opera già fortemente evocativa di Berengo Gardin.
Il risultato è davvero di grande rilievo, visto che il percorso della mostra consente sia di attraversare la storia dell'Italia dagli anni Cinquanta a oggi (che è il periodo coperto dalla produzione del fotografo) sia di entrare in contatto con la poetica di Berengo Gardin, dando un senso a quel timbro in verde "Vera fotografia", che è apposto sul retro di tutte le sue foto, e che è stato scelto come parola chiave per la lettura di questa mostra antologica.
Berengo Gardin, come afferma lui stesso, ha sempre guardato il mondo attraverso la macchina fotografica e lo ha sempre visto in bianco e nero, come la scrittura sopra la pagina. Questo per dire che per Berengo Gardin la fotografia è il principale strumento di conoscenza e comprensione del mondo e che questo strumento, nonostante i molti cambiamenti tecnologici e le possibilità sempre più ampie che si sono aperte nel tempo, è stato da lui utilizzato sempre nello stesso modo, ossia come occasione di osservazione. Berengo Gardin entra nei contesti e li documenta, poi sceglie e dunque propone una sua narrazione, come è normale che sia per il mezzo fotografico, ma non ama la post-produzione. Il lavoro del fotografo per lui avviene sul campo, applicando l'occhio fotografico individuale al mezzo fotografico. Il dopo è semmai dialogo tra le fotografie e chi le guarda: il fotografo stesso e il pubblico cui verranno date in pasto.
In quella "vera fotografia" non c'è né l'ingenuità né la presunzione di pensare che possa esistere una fotografia vera e una falsa, dacché fotografare significa leggere la realtà e la lettura fotografica è sempre una interpretazione della realtà. Però c'è il desiderio di esprimere la necessità e la scelta di un contatto forte tra fotografo e contesto, senza del quale il lavoro di Berengo Gardin non esisterebbe.
Passeggiando attraverso le fotografie di Berengo Gardin e in parte anche attraverso le sue parole, scritte in grandi caratteri su alcune pareti, è evidente che la cifra più significativa del suo lavoro si sostanzia dello sguardo affettuoso verso l'umanità tutta, sia quando essa è soggetto primario della sua fotografia, sia quando essa si fonde con l'ambiente circostante, sia quando protagonisti sono diseredati ed emarginati, sia quando si tratti di gente comune ovvero di personaggi famosi.
C'è una sorta di continuità e atemporalità nelle sue foto che talvolta ci costringe a guardare la didascalia per capire in che anno è stata scattata quella che stiamo guardando, e nello stesso tempo c'è - altrettanto forte - il racconto di un'epoca, di un momento storico, di una condizione sociale determinata e irripetibile. Forse perché Berengo Gardin ci ha raccontato l'umanità nell'immutabilità di alcuni suoi caratteri, ma anche un contesto sociale che a quella immutabilità conferisce sfumature e orizzonti che cambiano nel tempo.
Chiunque ami la fotografia non può non amare visceralmente le foto di Gianni Berengo Gardin, e desiderare con tutto se stesso di riuscire a dire con le proprie foto anche solo un centesimo di quello che Berengo Gardin ha raccontato con le sue.
Voto: 4/5
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