Noah Baumbach, il regista di Frances Ha, torna al cinema con un nuovo film (presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma), che pur non avendo ufficialmente niente a che fare con il precedente, ne è in qualche modo l'ideale continuazione.
Stessa ambientazione, stessa protagonista, stesso contesto divertente e stralunato. Ma... qualche anno dopo.
Affidandosi ancora una volta alla sua attrice feticcio, Greta Gerwig (qui anche sceneggiatrice del film), Baumbach porta sullo schermo una giovane donna, Brooke, piena di vitalità e di charme, mondana e attiva come si conviene alla frenetica New York, ma che a trent'anni vive ancora in una perenne fase di transizione verso la realizzazione di qualcosa che non si realizza mai.
Dopo la visione di questo secondo film sempre di più penso a Baumbach come a un Woody Allen del terzo millennio, che per fortuna non si mette davanti alla macchina da presa, sebbene di fatto utilizzi allo scopo il suo alter ego femminile Greta Gerwig, e che ci racconta storie tutto sommato piccole e di persone piccole, ma lo fa con dialoghi brillanti e strampalati, acuti e surreali, dialoghi a volte banali, a volte capaci di rivelare - con una semplicità imbarazzante - grandi verità della vita.
Mistress America è il nome della supereroina in cui si trasforma di notte la protagonista del racconto che la giovane matricola Tracy (Lola Kirke) scrive per poter entrare nella Società letteraria del College e per il quale trova ispirazione proprio dopo aver incontrato Brooke.
Tracy si è da poco trasferita nella Grande Mela e non riesce a integrarsi nell'ambiente del college né a sfruttare le potenzialità di una città come New York, almeno fino a quando non conosce Brooke, sua futura sorellastra. Brooke la introduce alla frenesia della città con le sue mille possibilità, affascinandola con i suoi folli progetti e trascinandola nella sua vita scoppiettante, ma inconcludente.
Quest'amicizia non solo darà a Tracy l'ispirazione alla scrittura, ma la costringerà a confrontarsi con la verità - in buona parte triste - che sta dietro il sogno di una donna libera, moderna, piena di interessi e di fascino, ma perennemente incompiuta.
A tre anni dall'uscita americana di Frances Ha (era il 2012, anche se in Italia il film è uscito solo l'anno scorso), Noah Baumbach sembra volerci dire che quella ventisettenne alla ricerca di se stessa è ancora sulla soglia della realizzazione dei propri sogni e si ostina a non guardare in faccia la realtà. Figli del carpe diem, del mordere la vita, della socialità e della radicalità delle scelte, brillanti e anticonformisti, i trentenni come Brooke faticano a dismettere il filtro adolescenziale che portano sugli occhi, e appaiono paradossalmente molto più adolescenti della diciannovenne Tracy, più disincantata e - seppure sociopatica - più in contatto con il mondo reale e alla fine anche con se stessa.
Nel frattempo si ride, si sorride, si pensa, si apprezza l'arguzia e l'intelligenza che il meglio di questa generazione ci regala, ma al contempo si compatisce la totale astrazione che la caratterizza. Come andrà avanti questa saga?
Voto: 3,5/5
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